Quando il black metal conobbe i suoi natali nella prima metà degli anni ’80, la sua diffusione – che all’epoca avveniva con mezzi di fortuna, talvolta tramite circolazione di demo tape, e ben lontano dal mainstream – riguardò inizialmente un pugno di paesi: l’Inghilterra (con i Venom), la Svezia (con i Bathory), la Svizzera (con Hellhammer), ai quali pian piano, senza una logica apparente, si aggiunsero altri centri geografici.
Quando invece, all’inizio degli anni ’90, da questi primi semi si sviluppò un genere con una sua dignità e un’estetica più definita, ciò avvenne viceversa in un contesto geograficamente circoscritto: la sua terra la Scandinavia, il suo centro di espressione più maturo la Norvegia. Sarebbe interessante ricostruire in che modo un fenomeno musicale estremamente underground, e anzi ostile al mainstream, sia diventato nel giro di qualche decennio un fenomeno planetario, tanti sono oggi i paesi un tempo estranei al circolo del black metal (se non del metal) che hanno sviluppato una propria tradizione black.
E così, mentre Norvegia, Svezia e Finlandia si mantengono sulla cresta dell’onda, gruppi non meno rilevanti giungono oggi dall’Islanda e dalla Danimarca, l’Europa propone complessi di tutto rispetto dalla Polonia, dalla Grecia, dalla Francia. L’Italia, pur indietro nel livello qualitativo, vanta una tradizione rispettabile. Ogni anno, dai quattro angoli del mondo, legioni di nuove band inondano il mercato discografico, facilitate dal digitale, ma sempre soggette al rischio di restare ancorate al sottosuolo, come oggetti inabissati in un oceano troppo vasto. E come pretendere, in tale vastità, di potersi destreggiare al punto da saper individuare le uscite “migliori”?
Pure, chi ha fame di nuova musica può beneficiare di un orientamento (leggi ad es. “I 10 album Power metal per neofiti“), anche se approssimativo. In quel che segue, un breve profilo di quelli che mi sono parsi i dieci migliori album black metal usciti tra gennaio e maggio 2022. Il lettore è invitato a non commettere l’errore molto frequente di pensare che l’autore intenda, con questa lista, mettere d’accordo tutti o proporre un punto di vista autorevole. Al contrario, la lista che segue nasce nella precisa consapevolezza che nessuno sarà mai del tutto d’accordo.
Ante-Inferno, Antedeluvian Landscapes
Paese: Regno Unito 🇬🇧
Genere: Black Metal
Per il secondo album degli inglesi Ante-Inferno, verrebbe da dire: mai titolo fu più azzeccato. I sette brani di Antedeluvian Landscapes (cinque, se escludiamo l’introduttiva “A Lullaby to a Dying World” e l’interludio strumentale di “Shadowed Waters”) sono effettivamente dei paesaggi sonori, che stilisticamente si avvicinano spesso al black metal più atmosferico: ogni traccia è un monolite sonoro inarrestabile, spesso di lunga durata, fatto di pochi ed essenziali elementi, che non disdegna drammatici mid-tempo, in cui tutti gli strumenti, e le stesse linee vocali, sembrano voler definire i contorni di una realtà naturale ostile, indecifrabile e sfumata, e di indefinibile vastità. Highlights dell’album: “Celestial Mirage” e “Beyond the Immemorial Veil”.
Bhleg, Fäghring
Paese: Svezia 🇸🇪
Genere: Atmospheric/Folk Black Metal
Con Fäghring, gli svedesi Bhleg completano una tetralogia iniziata nel 2014 con Draumr ást e proseguita con Solarmegin (2018) e Ödhin (2021). In quella che costituisce un’autentica esplorazione del cosmo in musica, i Bhleg conseguono con Fäghring la loro espressione più matura. L’arte che più si avvicina alla musica dei Bhleg è la pittura, come se il complesso avesse a disposizione una paletta di colori in una miriade di sfumature, e fosse in grado di impiegarla saggiamente per restituire attraverso riff, intermezzi acustici, cori e colpi di batteria i colori, ben più vari, della natura. Un album che non conosce punti di debolezza e che offre brani anche di una certa lunghezza, spesso oltre i dieci minuti (con “Alyr i Blom” quale capolavoro dell’album): eccellenti metafore del viaggio, con le sue emozioni, le sue gioie, le sue pause e i suoi pericoli. Meno efferato dell’album black metal “medio”, ma anche molto più ricco emotivamente.
Black Fucking Cancer, Procreate Inverse
Paese: Stati Uniti 🇺🇲
Genere: Black/Death Metal
Il secondo LP dei Black Fucking Cancer è un album al quale l’etichetta di black metal sta un po’ stretta. Nella voce e nel riffing, ma anche nel missaggio – si faccia caso al suono ruvido e metallico del basso – i Black Fucking Cancer annoverano un che di sporco e sguaiato che li avvicina in effetti al death metal più brutale. In Procreate Inverse la band di San Jose, California, si limita a cinque brani. Due fra questi, “Obscene Lusting Dagger” e “Procreate Inverse”, raggiungono rispettivamente i dodici e i quindici minuti. Non è solo un fattore di durata, ma di stile. Perché in quei minuti assistiamo a cambi di scena continui, in un crescendo di mostruosità ed efferatezza, con continue esplosioni di rabbia che erutta sulle orecchie del malcapitato ascoltatore, e variazioni ritmiche che ne mantengono alto il livello di attenzione. Sono brani per i quali non è mal spesa la definizione di “suite”, vere e proprie sinfonie dell’orrore che lasciano però trapelare un’indubbia intelligenza musicale.
Deathspell Omega, The Long Defeat
Paese: Francia 🇨🇵
Genere: Avant-Garde Black Metal
Chi ha detto che in questa lista debbano figurare solo band misconosciute, o quasi? Chi l’ha pensato si sbaglia di grosso. Ma gli unici pezzi da novanta dimostratisi quest’anno all’altezza della propria storia sono, ad avviso del sottoscritto, i Deathspell Omega (menzione d’onore, però, per i polacchi Babushka). The Long Defeat riporta il marchio della band francese in ogni suo aspetto, fin dalla enigmatica e oscura copertina. La furia del black metal filtrata dalle consuete astrusità filosofiche e concettuali, che si traducono in figure ritmiche e musicali altrettanto astruse e spigolose, talvolta disarticolate; la melodia e l’armonia, meno bistrattate che in altri lavori, sono pur sempre deformate da visioni angoscianti e morbose, che sembra quasi di poter vedere e toccare con mano. Cinque lunghe suite per altrettanti viaggi oscuri da assaporare nei loro dettagli più minuti, impreziosite da due collaborazioni eccellenti: Mortuus (Marduk, Funeral Mist) nella traccia di apertura, “Enantiodromia”, e M. dei polacchi Mgła in quella di chiusura, “Our Life Is Your Death”.
Kharon, Shores of Acheron
Paese: Norvegia 🇳🇴
Genere: Black Metal
Come disse qualche sventurato durante gli scorsi europei di calcio, tirandosi un po’ la zappa sui piedi, altrettanto potremmo dire del recente lavoro dei Kharon: it’s coming home. Con Shores of Acheron il black metal ritorna a casa, la Norvegia. Può sembrare incredibile che una band al suo primo album abbia prodotto un black metal di tale maturità, in grado di reinterpretare i canoni del genere in un lavoro ispirato e compatto. Ma non è un caso, perché la band nacque nel lontano 1989 sotto il nome di Padox. Per cinque anni, tra alterne fortune e tre cambi di nome (Kharon dal 1992), il gruppo non andò oltre un demo tape. Ma di quel clima di grande fermento deve evidentemente aver tratto giovamento. I primi cinque brani di Shores of Acheron, inclusa l’incredibile title track, risalgono all’EP del 2003 dal titolo Raised by Hellish Demons. Ed è probabilmente la metà migliore dell’album, di fronte alla quale non potremmo fare osservazione migliore che la seguente: è valsa la pena aspettare.
Lifvsleda, Sepulkral Dedikation
Paese: Svezia 🇸🇪
Genere: Black Metal
Il black metal dei Lifvsleda è nero che più nero non si può. Sepulkral Dedikation innalza dei muri di suono impenetrabili e coesi, sfruttando tutti i cliché del black metal più ortodosso – specialmente quello più recente – senza grandi pretese di originalità ma con un’efficacia non comune. Non ci sono fronzoli, c’è un’avanzata inarrestabile, come un’orda che si riversa su un terreno abitato distruggendo, depredando e saccheggiando. Il livello di dramma, fin dall’apertura, con “Sändebudet”, è altissimo e costante. “Likbalet”, lievemente più sommessa, “Dodspredikanten” e “Kallet” non sono da meno, mentre “Hadankallad”, in un ipotetico contest per il brano black metal dell’anno, avrebbe ottime chance di aggiudicarsi il primato.
Pure Wraith, Hymn to the Woeful Hearts
Paese: Indonesia 🇮🇩
Genere: Atmospheric Black Metal
L’esistenza di Pure Wrath, one-man band del multistrumentista Januaryo Hardy, è una specie di inno alla globalizzazione delle culture. Nessuno al mondo potrebbe mai indovinare la nazionalità di questo talentuoso musicista e compositore semplicemente ascoltando le sue canzoni (senza nulla togliere a un paese con un’ottima tradizione di metal estremo). Hymn to the Woeful Hearts suona come un album black metal “europeo”. Laddove altri complessi in giro per il mondo hanno cercato di mescolare il black metal con il folklore locale – ad es. gli afghani Almach – Pure Wrath si professa devoto agli stilemi più tradizionali del genere “atmosferico”. Ma lo fa riuscendo meglio di molte band che oggi faticano ad andare oltre i cliché, e la poca fantasia. Di fronte a brani come “The Cloak of Disquiet”, “Presages from a Restless Soul” e “Footprints of the Lost Child” – sempre in bilico tra momenti più rabbiosi e drammatici e gli splendidi e ben dosati inserti pianistici, tastieristici e coristici – c’è di che stropicciarsi gli occhi.
Ruine, Révolte et crâynerie paysanne
Paese: Canada 🇨🇦
Genere: Post-Punk/Black Metal
Passato relativamente sotto silenzio, almeno per il momento, il secondo lavoro dei canadesi francofoni Ruine, originari del Quebec, è di quegli album in grado di dare più di un grattacapo agli amanti delle etichette. Il website Encyclopaedia Metallum, la bibbia del metal, nemmeno menziona i Ruine tra le sue oltre centocinquantamila entry, se non per distinguerli da altri complessi dello stesso nome. Eppure, il fatto che il sound della band sia in prevalenza quello del post-punk/dark rock, che strizza l’occhio agli anni ’80, non toglie che gli elementi black metal ci siano, e siano anche utilizzati con intelligenza. Il più classico dei tremolo-picking nella seconda metà di “Regard mes yeux” e in “Pour la guerre” o il blast beat moderato di “Tous au front” ne sono testimonianza. È pur vero che all’occorrenza i Ruine sanno farne a meno, come nell’ottima “Le puissance d’argent”, o metterli in disparte come in “Je suis prêt”. Tutto ciò rileva fino a un certo punto: sentitevi liberi di considerare Révolte et crâynerie paysanne come un intruso, in questa lista, ma non mancate di dargli una possibilità, perché è una delle sorprese dell’anno.
Véhémence, Ordalies
Paese: Francia 🇨🇵
Genere: Epic Black Metal
Autodefinitisi come band “Medieval Black Metal” – genere molto diffuso in Francia (pensiamo ai lavori di Darkenhöld, Sünhopfer e Hanternoz, con cui i Véhémence condividono il vocalist Hyvermor) – con Ordalies i parigini Véhémence offrono un lavoro splendido e suggestivo, epico e melodico, fatto di canti di battaglia, momenti pastorali e un numero indecifrato di cavalcate gloriose. Bastano veramente pochi secondi della traccia di apertura, “De feu et d’acier”, per entrare in un mondo cavalleresco, solenne e incantato. Un clima magico che le successive “Notre royaume… et cendres”, “Au blason brûlé” e “La divine sorcellerie” mantengono intatto, mostrando e rinnovando un’eccezionale creatività e varietà di soluzioni, pur all’interno di coordinate musicali ben definite. In un ipotetico ranking, Ordalies occuperebbe certamente una delle prime posizioni.
Wiegedood, There’s Always Blood at the End of the Road
Paese: Belgio 🇧🇪
Genere: Black Metal
Giunti al loro quarto LP, i Wiegedood fanno parte di un collettivo di band connazionali di nome Church of Ra. La loro proposta risiede in un black metal ortodosso imperniato su un blast beat forsennato sopra il quale si stagliano riff cupi e minacciosi, ripetuti ossessivamente, senza che all’interno del medesimo brano si percepiscano grandi novità, ma solo pochi spostamenti melodici e armonici di grande effetto drammatico. Sentire “FN SCAR 16”, “Now Will Always Be” (il capolavoro dell’album), “Nuages” e “Carousel” per credere. Curiosità: il passaggio dall’acustica e breve “Wade” alla già citata “Nuages” contiene una citazione da un noto brano di Django Reinhardt (di origini belghe), intitolato, appunto, “Nuages”.
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