Le protagoniste sono loro, le donne coraggiose che hanno messo in ginocchio una delle più grandi e cruente organizzazioni mafiose. The Good Mothers racconta la mafia da un punto di vista inedito, attraverso gli occhi delle collaboratrici di giustizia stufe di essere dominate da un sistema patriarcale.
Presentato in anteprima al Festival Internazionale del Cinema di Berlino, dove ha vinto il Berlinale Series Award, The Good Mothers è un lavoro basato sul libro del giornalista britannico Alex Perry ed è stato adattato per il piccolo schermo da Stephen Butchard. Un lavoro che ci porta nel cuore della ‘ndrangheta e si propone di raccontare in sei episodi la storia vera di tre donne che hanno osato sfidare i loro mariti e padri violenti in una Calabria “baciata dal sole” ma aspra e cruda che non perdona chi sbaglia e chi vuole cambiare.
La serie si apre con Lea Garofalo (Micaela Ramazzotti) e la figlia Denise (Gaia Girace) in fuga dal marito e padre Carlo Cosco (Francesco Colella), boss mafioso con una certa influenza sul territorio. Lea ha reciso ogni rapporto con la sua famiglia d’origine e con quella del marito, diventando testimone di giustizia. È una madre stanca, ma incredibilmente forte e determinata nel consegnare alla figlia un futuro migliore. Una scelta non facile, ma coraggiosa: “Non appartieni a nessuno”, continua a ripeterle per cambiare quel destino che sembrava già segnato.
Giuseppina Pesce (Valentina Bellè), una donna che vive la vita mafiosa dall’interno. È figlia e moglie di boss della ‘ndrangheta ed è legata ad un doppio filo al suo clan, imprigionata nel sistema. Maria Concetta Cacciola (Simona Distefano) è una madre prigioniera in casa dalla sua stessa famiglia che la controlla, che cronometra ogni suo spostamento e che le toglie ogni briciolo di libertà. Ha vissuto un matrimonio malato di affari sporchi, l’unica salvezza sono i figli; poi la rinascita dopo l’incarcerazione del marito ed un nuovo amore. Giusy e Maria Concetta sono amiche e sognano una vita migliore, lontano da quel mondo spaventoso e inesorabile che le circonda.
La claustrofobia del mondo di queste tre donne è così travolgente, inquietante, disturbante da creare un’ansia persistente che sale e scende man mano che il racconto si svolge. È una narrazione lenta, il che significa che la loro azione contro la mafia si esplica in maniera graduale e credibile. Le loro storie ci spiegano che le donne sono intrappolate all’interno di un vortice risucchiante, che nascere in una famiglia ‘ndranghetista vuol dire sposarsi a 16 anni, che la lealtà è attesa prima di tutto e ad ogni costo, che si è ignorate e maltrattate, che è impossibile sfuggire allo sguardo della rete che le circonda.
A gestire le loro paure è la magistrato Anna Colace (Barbara Chichiarelli), certa fin dall’inizio che per colpire nel cuore della ‘Ndrangheta bisogna prendere di mira le donne e puntare sulla loro frustrazione affinché diventino un “cavallo di Troia”. È lei che in un certo senso restituisce luce agli invisibili, che vuole dare un’alternativa a quelle donne ingabbiate in un mondo maschile e maschilista. È l’ancora di salvezza, la soluzione per riappropriarsi di sé stesse e riprendere in mano la loro dignità. Anna Calace guida la macchina della giustizia italiana scardinando le porte e distruggendo le fondamenta della ‘ndrangheta prendendo per mano quelle donne sottomesse e maltrattate, facendo leva sul quel perenne senso di insoddisfazione ed eterno malessere.
The Good Mothers offre una prova recitativa splendida accompagnata da una regia minuziosa, fornendo una visione autentica dell’organizzazione criminale attraverso una lente femminista.
A livello recitativo la serie è impeccabile. Micaela Ramazzotti è dolcissima nel portare in scena la dignità e il coraggio di una madre pronta a tutto per amore della figlia; Valentina Bellè ha restituito l’autenticità e la consapevolezza di una donna investita dalla mafia; Gaia Girace ha dato forma a una ragazza determinata a non voler appartenere a quel mondo che le ha strappato l’amore e la protezione della madre; Simona Di Stefano racconta una madre ferita e snaturata dal mondo che la circonda; Barbara Chicchisrelli è una machiavellica donna di giustizia, rigorosa ed empatica.
Una storia aiutata sicuramente dalla regia di Julian Jarrold ed Elisa Amoruso che sono riusciti a dare centralità alla storia delle cinque donne. Impeccabile il lavoro della fotografia la quale ha creato un’atmosfera grigia, claustrofobica, pesante, che rispecchia perfettamente i toni drammatici degli eventi, senza mai lasciare spazio alla leggerezza. La scenografia offre un’ambientazione spenta ed esausta, a tratti tesa, come l’umore delle protagoniste. Una colonna sonora angosciante, una ninna nanna penetrante che getta un’ombra tetra sul passato, presente e futuro delle vittime della ‘ndrangheta. Dai dialoghi e dagli atteggiamenti potrebbe sembrare una storia di inizio Novecento e invece è una brutta pagina della Calabria di oggi.
The Good Mothers è un connubio perfetto di forma e contenuto: non è la classica serie sulla mafia al maschile che si concentra sugli affari di droga o lotte di potere territoriale. Ha il merito di raccontare come la rete della ‘ndrangheta è enorme e si estende anche nel mondo femminile: madri, mogli, figlie e sorelle sono costrette a vivere una vita che non vogliono. Sono fragili e incapaci di fuggire alla violenza, all’abuso psicologico e alla sottomissione degli uomini che le circondano.
Una serie toccante e profonda, una storia potente di donne e sulle donne che ha il merito di infondere quel briciolo di speranza a quelle vittime ancora prigioniere di un contesto culturale ed educativo di violenza strisciante in cui sono cresciute. Da togliere il fiato.
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