The Catalyst degli Amaranthe, recensione

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Gli Amaranthe sembrano avere una capacità creativa assolutamente fuori dal comune, tanto da rilasciare un album ogni due anni per dieci anni filati: eppure, stavolta, ci sono voluti quattro anni perché The Catalyst vedesse la luce. The Catalyst esce oggi, per Nuclear Blast.

Coerenti con se stessi, eppure in continua evoluzione: gli Amaranthe, un tempo Avalanche, sono passati dal power metal esplosivo dei primi lavori – fino ad Helix – al djent più aggressivo di Manifest – ma ora, The Catalyst sembra dare una nuova, ulteriore, svolta allo stile della band. Più pop: veloce, accattivante, guidato dalla melodia dello stavolta estremamente ispirato compositore Olof Morck. Che ha deciso di dare un taglio più teatrale, musical, ed operistico all’album, sfruttando al meglio le doti vocali dei ben tre cantanti della band. Nonostante la dipartita di Henrik Wilhelmsson alle harsh vocals e il rimpiazzo da parte di Mikael Sehlin, la combinazione abbai/ruggiti e grida delicate al vento continua a funzionare egregiamente. Eppure, in chiave molto più euromusic: il sentore generale in The Catalyst è quello di una candidatura all’Eurovision, col giusto mix di melodia accattivante, brano che può impressionare il pubblico del vecchio continente, e l’adeguata presenza scenica del supergruppo sul palco. Il che, a mio modesto parere, non è necessariamente un male. La musica ed i gusti evolvono, e gli Amaranthe sono solo gli ultimi fra i tanti che, in Nord Europa, hanno già preso a picconate lo sciocco muro fra “roba commerciale” e “metal d’elite”.

The Catalyst degli Amaranthe, recensione 1

Insomma, The Catalyst, prima ancora di essere un album, è un’operazione di marketing piuttosto intelligente. I suoi brani sono tutti sotti ai 5 minuti, e tutti, indistintamente, riescono a tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore con intelligentissimi accorgimenti di produzione (Jacob Hansen è tutto meno che un novellino): un synth qui, un cambio di ritmo là, un chorus in harsh vocals e clean vocals infilato a metà brano; inoltre, lo stile vocale del nuovo acquisto Sehlin si avvicina molto al nu-metal dei primi duemila, quella formula di rap-punk-metal che ha tanto ben funzionato per un decennio e che, personalmente, continua ad avere un posto in prima fila nel mio cuore. Stranamente, l’operazione di semplificazione del sound degli Amaranthe iniziato con Manifest ha subito un’impennata: incisivi e frequenti sono i solo di chitarra di Morck, praticamente assenti nei lavori precedenti e sinceramente una boccata d’aria fresca in un muro di suono asfissiante. The Catalyst è un album molto coerente, e suona come un’unica lunga canzone, nonostante lo spezzettamento in 13, piccoli, rapidi brani affilati come zanne di velociraptor.

The Catalyst ha anche una storia, credo, ma ammetto di non essere riuscita a ricostruirla a partire dalle lyrics. La opener e traccia omonima, infatti, è una cavalcata in stile Amaranthe in cui una serie di eroi si incitano a vicenda per il partire alla ricerca di questo catalizzatore – una sorta di Santo Graal di lustrini e LED di astronavi. Eppure, come ho accennato, l’esplosività è contenuta, l’ossigeno che nutre la reazione è ridotto al minimo del flusso, dando vita ad un risultato più equilibrato ed accessibile ed in cui le ottime doti singole – chitarre e voci – finalmente possono spiccare e non perdersi fra i laser colorati. Menti alveare aliene prendono possesso dei cantanti in Insatiable, la cui composizione è particolarmente interessante, in quanto possiede i tipici start and stop che tanto van di moda all’Eurovision ultimamente – non escludo la Svezia possa candidare un brano simile, da parte degli Amaranthe, all’edizione 2024…

The Catalyst degli Amaranthe, recensione 2

Si prosegue con Damnation Flame, introdotta da un interessante assolo di clavicembalo che evolve in una tipica intro power metal di chitarre e synth: una gradevole intrusione in un cimitero spaziale dai tratti gotici, con tanto di ghoul; spicca però la bravura di Elize Ryd, che regge praticamente da sola l’intero brano. La voce di quest’ultima diviene calda e sensuale – bar di una stazione spaziale che fluttua nel vuoto – nella successiva Liberated, brano mid-tempo fra i più placidi di The Catalyst. Una formula simile è attuale nella fortemente Tron-esca RE-Vision – cyborg e vocoder, dando però l’idea di un filler non necessario.

Si è a metà album con Interference. Ancora una volta la voce di Elize è quella che dà l’inizio al brano, intervallata da momenti rap di Sehlin e rinforzata da quella di Nils Molin. Quasi tranquilla e minimal rispetto al sound di Helix, Interference è un pezzo duro e acido ammorbidito dalle rotonde note del refrain che ben si piazza in mezzo alla scaletta. Quasi inaspettata e sorprendente arriva la ballad Stay a Little While: sciropposa di melassa, insulinica ma dotata di una dolcezza disarmante che tiene appiccicati dal suo miele. Ecstasy, similmente a Insatiable, ricorda un brano da Eurovision ma non per questo è meno gradevole. Breaking the Waves, finalmente, riapre agli arrangiamenti operistici e al sentore cinematografico già apprezzato ad inizio album: la voce della Ryd si fa eterea e angelica, ed il brano di per sé dipinge paesaggi che si rifanno più al fantasy classico che alla space opera: qui siamo a Lothlòrien, non sull’astronave di Capitan Harlock.

Outer Dimensions risulta sorprendente anche per gli standard degli Amaranthe. Si apre in levare, improvvisa, con tutti e tre i cantanti in coro e frequenti intermezzi operistici/melodici, ascensioni e cadute rovinose, e funzionerà benissimo sia live che – indovinate un po’ dove – all’Eurovision. Stesso dicasi per Resistance, brano che riprende stilemi già esplorati dai Beast in Black. Find Life è l’ultimo brano originale di The Catalyst e ne è una piccola summa – accelerazioni ma mai improvvise come in passato, belle sezioni di chitarra, chorus memorabili. Ho personalmente trovato deliziosa la cover di Roxette scelta come bonus track, Fading like a Flower: riprende la dolcezza esuberante e diabetica espressa in Stay a Little While e dona nuova vita al misconosciuto brano del 1991 – sebbene la chiave sia stata leggermente stravolta e il brano riarrangiato di almeno una terza, mantenendo originale semplicemente la dinamica del refrain.

The Catalyst, ancora, non è un capolavoro come nessun album degli Amaranthe lo è. Ma è un album piacevole. Che ascolterò con piacere negli anni a venire. E, come me, molti altri. E molti altri sold out di tour arriveranno, molte altre headliner in festival di rilievo. Gli Amaranthe testimoniano che si può fare intrattenimento anche col metal, e che anche tale genere non è incancrenito su se stesso, ma evolve e si adatta al gusto contemporaneo.

Giulia Della Pelle
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