Da The Post a Il caso Spotlight fino a tornare indietro nel tempo con Tutti gli uomini del Presidente, di film d’inchiesta sbarcati sul grande schermo che ci hanno aperto gli occhi e che hanno permesso di venire a patti con la realtà ce ne sono davvero tanti.
“Se la libertà di stampa significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire.”
George Orwell.
“Tutti i giornalisti sono, per via del loro mestiere, degli allarmisti; è il loro modo di rendersi interessanti.”
Arthur Schopenhauer.
“Chiamo giornalismo tutto ciò che domani sarà meno interessante di oggi.”
André Gide.
Noi di Shockwave Magazine ne abbiamo selezionato i più interessanti apposta per i nostri lettori più affezionati.
Tutti gli uomini del Presidente (Alan J. Pakula, 1976)
Si può considerare un capolavoro del cinema e del giornalismo.
Basato sull’omonimo saggio scritto dai giornalisti del Washington Post Bob Woodward e Carl Bernstein, interpretati rispettivamente da Robert Redford e Dustin Hoffman, il film ripercorre l’inchiesta del quotidiano statunitense che nel 1974 portò allo scandalo Watergate, innescato dalla scoperta di alcune intercettazioni illegali effettuate nel quartier generale del Comitato nazionale democratico, da parte di uomini legati al Partito Repubblicano e in particolare al “Comitato per la rielezione”, e alle conseguenti dimissioni di Richard Nixon da Presidente degli Stati Uniti.
Oltre ad essere stato un grande successo di pubblico e critica, ha ricevuto otto candidature agli Oscar vincendone quattro, Miglior attore non protagonista, Miglior sceneggiatura, Miglior scenografia e Miglior sonoro.
Inoltre, il film si è dimostrato anche una svolta importante non solo dal punto di vista del giornalismo d’inchiesta, ma anche dal punto di vista storico: dal 2010 infatti è conservato dalla Libreria del Congresso degli Stati Uniti, e per di più è stato inserito nella lista dei 100 film di maggior ispirazione mai realizzati per l’American Film Institute, mentre Woodward e Bernstein sono stati premiati con la posizione numero 27 tra i migliori eroi del cinema. Strameritato.
JFK – Un caso ancora aperto (Oliver Stone, 1991)
È il film testamento di Oliver Stone, che peraltro sembra avere un debole per i Presidenti americani.
Il titolo lascia già di per sé poco spazio all’immaginazione. analizza gli eventi immediatamente precedenti all’assassinio del Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy e l’inchiesta portata avanti dal procuratore distrettuale di New Orleans all’epoca dei fatti, Jim Garrison, interpretato da un Kevin Costner semplicemente mozzafiato, che dubita della tesi ufficiale successiva all’indagine della Commissione Warren, la quale stabilì che Lee Harvey Oswald (Gary Oldman) fu il solo esecutore materiale dell’attentato.
La pellicola mette in scena il capovolgimento degli Stati Uniti come una “terra promessa” che è rimasta particolarmente sconvolta (come sottolinea anche lo stesso regista), un paese che si è visto costretto ad assistere attonito alle morti di Martin Luther King e di Bob Kennedy.
Il caso Spotlight (Tom McCarthy, 2015)
Premiato con due Oscar per il Miglior film e la Miglior sceneggiatura originale, il film narra le vicende reali venute a galla dopo l’inchiesta del Boston Globe, quotidiano statunitense, sull’arcivescovo Bernard Francis Law, accusato di aver coperto molti casi di pedofilia avvenuti in diverse parrocchie. L’indagine valse il Premio Pulitzer di pubblico servizio al quotidiano nel 2003 e aprì a numerose indagini sui casi di pedofilia all’interno della Chiesa cattolica.
Il cast è di prima grandezza e comprende Micheal Keaton, Mark Ruffalo, Liev Schreiber, Rachel McAdams, Stanley Tucci, Brian d’Arcy James e Billy Crudup.
Il film dimostra con grande maestria e minuziosità la raccolta delle informazioni senza le quali sarebbe impossibile costruire un caso, o un’inchiesta, come un vero e proprio Cupido in grado di fare breccia sia degli spettatori sia di coloro che hanno fatto la differenza.
The Post (Steven Spielberg, 2017)
“La stampa serve chi è governato, non chi governa”.
È una citazione tratta da The Post, che probabilmente non dimenticherò mai. Sì perché con meno di dieci parole ha raccolto l’essenza del giornalismo. I giornali, e la stampa in generale, hanno il mero compito di rappresentare i cittadini, le persone comuni, e di raccontare le loro storie soprattutto quando si tratta di dare voce a chi non ne ha.
Spielberg poi è un maestro nell’arte del reale ed in questo caso in particolare narra la vicenda che ruota attorno alla pubblicazione dei Pentagon Papers, documenti top-secret di 7000 pagine del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America che presentano uno studio approfondito sulle strategie e i rapporti del governo federale con il Vietnam nel periodo che va dal 1945 al 1967. Una vera e propria inchiesta governativa quindi.
Furono redatti nel 1967, per volere di Robert McNamara, che voleva darli all’amico Robert Kennedy, che in quel momento pensava di candidarsi alla presidenza. In un secondo momento, i Pentagon Papers furono copiati da Daniel Ellsberg, e pubblicati sul New York Times prima e sul Washington Post poi.
Nel cast corale troviamo Meryl Streep, Tom Hanks, Sarah Paulson, Bob Odenkirk, Tracy Letts, Bradley Whitford, Bruce Greenwood e Matthew Rhys.
Bombshell – La voce dello scandalo (Jay Roach, 2019)
In questo caso l’inchiesta non viene portata avanti da una testata giornalistica ma avviene proprio al suo interno. Fatto che probabilmente sconvolge ancora di più.
La pellicola infatti si occupa di esporre la ricostruzione del caso Roger Ailey, potente capo di Fox News licenziato perché accusato di molestie sessuali da diverse dipendenti.
Quando infatti Gretchen Carlson (Nicole Kidman) accusa di molestie sessuali Roger Ailes (John Lithgow), fondatore di Fox News, nessuno poteva prevedere cosa sarebbe successo. La decisione della donna spinge la giornalista Megyn Kelly (Charlize Theron) a farsi avanti con la sua storia.
Ci sono alcune scene che ho trovato particolarmente ripugnanti e alquanto vergognose:
Il modo in cui la segretaria personale di Ailes abbia incoraggiato la giovane Kayla (Margot Robbie), giornalista esordiente a presentarsi nello studio del suo capo per ottenere una promozione, sostenendo di “essere sempre alla ricerca di nuovi talenti”.
Per di più quando alcune delle donne giornaliste si sono fatte avanti accusando apertamente Ailes, consapevoli che stavano rischiando non solo il posto di lavoro, ma l’intera carriera, nel caso in cui non avessero vinto la causa abbiamo assistito ad una reazione raccapricciante, quella che meno mi sarei aspettata. Nessuna si è schierata dalla loro parte. E non era la paura a spingerle ad agire così, ma la lealtà verso il proprio padrone.
Mi viene da rabbrividire al solo pensiero che gran parte delle donne che lavoravano nella redazione di Fox News quando era Ailes a gestire tutto, se non tutte, possano essere state costrette ad offrire prestazioni sessuali in cambio della scalata al successo.
E che questo possa essere accaduto, e accadere tutt’ora, a migliaia di donne, non solo giornaliste, perché è ancora strano immaginare le donne ai comandi di un’azienda o perché siamo abituati a pensare che le donne debbano limitarsi a comportarsi come mogli e madri e che non possono avere ruoli di potere se non con l’aiuto di uomini, sempre se così possiamo definirli.
Come andò a finire? L’anno in cui Roger Ailes e Bill O’Reilly furono licenziati, Fox pagò 50 milioni di dollari alle vittime di molestie sessuali. La Fox pagò 65 milioni di liquidazione a Ailes e O’Reilly.
Infine le donne che rischiarono la carriera per aver denunciato Ailes furono le prime a far destituire una figura pubblica di quel calibro. Ma non le ultime.
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