Il Cinema e la Memoria sono due temi che sono andati sempre d’accordo.
Il primo novembre 2005 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite istituì la Giornata della Memoria. La scelta della data ricadde sul 27 gennaio, anniversario della liberazione dei campi di concentramento, nel 1945. Da allora giustamente ogni anno celebriamo la fine di una delle più grandi atrocità della storia dell’umanità, l’Olocausto. Perché, come ha detto Mario Rigoni Stern:
La Memoria è necessaria, dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano possono ritornare: è il testamento che ci ha lasciato Primo Levi.
L’Arte e in particolare il Cinema hanno sempre svolto un ruolo fondamentale per ricordarci quello che è stato, per tramandare la Storia, per insegnare e possibilmente aiutarci a non commettere gli stessi errori.
Per questo vogliamo ricordare alcuni dei film che meglio hanno rappresentato questa tragedia. Perché spesso il Cinema è la Memoria di un popolo.
Schindler’s List (USA, 1993)
Iniziamo dall’inarrivabile capolavoro di Steven Spielberg, incentrato sulla vita dell’industriale Oskar Schindler e sul suo coraggio, che lo portò a salvare almeno mille ebrei dalla morte: il regista pensò questo film come un documentario, le riprese furono fatte per la maggior parte con una telecamera in spalla e senza l’utilizzo di steadycam o effetti speciali. Lo stile documentaristico è testimoniato anche dalla scelta del bianco e nero, omaggio anche al Neorealismo italiano.
Ma il bianco e nero è soprattutto un modo per rappresentare la Shoah come la negazione della dignità umana e della vita. Non a caso sono solo quattro le scene in cui è presente il colore: la prima con le candele accese durante lo Shabbath, la seconda e la terza dove è presente la bambina col cappotto rosso, simbolo della vita e dell’innocenza, ma anche della colpa degli Stati Uniti d’America che non erano intervenuti prima contro Hitler.
E per finire nell’ultima, quella ambientata nello stesso 1993 e nella quale si vedono le persone salvate da Schindler e gli attori del film omaggiare l’industriale ed eroe tedesco. Inserito dall’AFI prima al nono e successivamente all’ottavo posto tra i più grandi film americani della Storia del Cinema, Schindler’s List fu candidato a dodici Premi Oscar (tra l’altro per il Miglior Attore Protagonista a Liam Neeson e il Miglior Attore non Protagonista a Ralph Fiennes) e ne vinse sette, compresi quelli per il Miglior Film e il Miglior Regista.
Il Pianista (GB, Francia, Polonia, Germania, 2002)
la pellicola, diretta dal regista franco-polacco Roman Polanski, racconta la tragedia del ghetto di Varsavia dal giorno dell’occupazione tedesca della città e inizio della Seconda Guerra Mondiale fino alla liberazione cinque anni più tardi ad opera dell’esercito sovietico. Il pianista parte come un film corale con la rappresentazione della normalità, da Wladislaw Szpilman (il pianista del titolo) che suona Chopin alla radio, per poi passare all’inizio delle angherie e poi alla vera persecuzione contro gli Ebrei, alla loro deportazione, ai bombardamenti.
Passa poi a raccontare l’odissea personale di Wladislaw, che separato dal resto della sua famiglia, cercherà di sopravvivere come potrà rifugiandosi a casa di amici, cercando di racimolare qualche soldo, e scappando quando la situazione si fa troppo pericolosa. Alla fine, ormai allo stremo delle forze, trova rifugio in una soffitta. Qui viene scoperto da un ufficiale tedesco che, una volta venuto a conoscenza di qual era la professione di Wladislaw e del suo immenso talento lo aiuta e lo porta in una stanza dove c’è un pianoforte.
Qui gli offrirà rifugio e protezione, in cambio della sua musica, unica cosa che gli dà pace, nel limite del possibile. Questo fino alla fine della liberazione della città da parte dell’Armata Rossa. Nel finale Szpilman, ormai libero e ripreso il suo posto alla radio, andrà a cercare l’ufficiale tedesco. Non lo troverà, ma verrà a sapere il suo nome, Wilm Hosenfeld.
Nonostante la tragicità della storia raccontata, la drammaticità della maggior parte delle scene (in primis quella del bambino che cerca di varcare il muro del ghetto e quella dell’anziano sulla sedia a rotelle scaraventato giù dalla finestra dai soldati tedeschi), nel film è presente un messaggio di speranza, ravvisabile soprattutto nella figura di Wilm Hosenfeld, l’ufficiale tedesco realmente esistito e che salvò molti Ebrei polacchi e che infatti nel 2009 fu riconosciuto come uno dei Giusti tra le nazioni. Infine non possiamo non parlare del ruolo che la musica ricopre in questo film, un ruolo quasi salvifico, musica che offre al pianista e all’ufficiale un rifugio e un sollievo da quello che stavano vivendo.
The Reader- A voce alta (USA, Ger, 2008)
Il film di Stephen Daldry, sembra essere nella fase iniziale semplicemente il racconto di una relazione sessuale tra Hannah, una donna trentaseienne e un quindicenne, Michael Berg.Un racconto sensuale e intrigante, con la donna che chiede sempre al ragazzo di leggerle un racconto all’inizio di ogni incontro. Una relazione che si interromperà quando Hannah sparirà senza lasciare alcuna traccia. Michael la ritroverà anni dopo, quando studente di Giurisprudenza assiste ad un processo contro delle guardie SS che hanno lasciato morire trecento donne Ebree.
Le imputate sono cinque, ma quella che avrà la pena più dura sarà Hannah, che non sapendo leggere e scrivere, pur di non ammetterlo preferirà non dire di non aver scritto l’ordine di lasciar morire le donne. Michael, scioccato per le azioni della donna e pur capendo che non può essere stata lei ad aver redatto l’ordine, non ha il coraggio di dire la verità e quindi di aiutarla. Probabilmente il senso di colpa, farà sì che fino alla morte della sua ex amante, le invierà in carcere dei nastri registrati con brani letterari.
Il film del regista britannico, vincitore del Premio Oscar alla Miglior Attrice Protagonista (una straordinaria Kate Winslet), ha suscitato reazioni contrastanti. Una parte della critica, infatti, ha accusato l’opera di voler minimizzare il male commesso durante le persecuzioni naziste grazie all’umanizzazione della protagonista e nel contempo rappresentando il personaggio di Michael Berg come vigliacco. Dall’altra la pellicola è stata accostata a La Banalità del Male di Hannah Arendt.
Ma come spesso accade la verità sta nel mezzo; il film non minimizza quanto accaduto e non giustifica le azioni della donna, più che altro forse fa capire quanto gli estremismi, la violenza, il male possano trovare terreno più fertile dove c’è l’ignoranza. Hannah infatti, sembra proprio non capire il male commesso e perché dovrebbe chiedere perdono. E non rappresenta Michael come un vigliacco, ma più come un uomo debole, schiacciato tra l’orrore, i ricordi di un’amore giovanile e la pietà.
La Vita è Bella (Ita 1997)
in quello che è uno dei più grandi successi del Cinema Italiano, il regista, attore e co-sceneggiatore Roberto Benigni, raccoglie l’eredità dell’immenso Charlie Chaplin, quella di raccontare una delle pagine peggiori della storia dell’umanità, in una commedia e non in un film drammatico (assimilando, ad esempio, la grande lezione de Il grande dittatore). La Vita è bella, il cui titolo è un omaggio a Lev Trotsky e a Primo Levi, è una straordinaria favola amara divisa in due parti.
La prima, ambientata nel 1939, narra l’incontro di Guido e Dora (la sua principessa) e la nascita del loro amore. La seconda parte, con un bel salto temporale, è ambientata nel 1944, quando nonostante la tragedia intorno a loro diventi sempre più grande, Guido, Dora e il loro piccolo Giosuè sono comunque una famiglia serena. Fino al momento in cui vengono catturati e deportati in un campo di concentramento.
Ed è da qui in poi che Guido, nel tentativo a tratti folle, di proteggere il suo bambino dall’orrore che li circonda si inventa che tutto quello che sta succedendo è un gioco di sopravvivenza, al termine del quale il vincitore guadagnerà un premio. Non ci sarà nessuna sopravvivenza per Guido, se non il fatto di aver almeno in parte preservato l’innocenza del suo bambino. Nella scena finale infatti Giosuè, salvato da un soldato americano, vede sua madre e grida felice “Abbiamo vinto”.
Vincitore di tre Premi Oscar, della Palma d’Oro a Cannes, di numerosi altri premi nazionali e internazionali, La Vita è bella, maggior successo italiano cinematografico al mondo, è stato osannato dalla maggior parte della critica internazionale. Le poche critiche negative arrivano soprattutto dall’Italia; il film fu per esempio accusato da Monicelli di non essere fedele alla realtà, perché i prigionieri furono liberati dai russi e non dagli americani. Ma lo scopo di questo film non era quello di rappresentare fedelmente la realtà in ogni dettaglio, in uno stile documentaristico come Schindler’s List, quanto piuttosto mostrare come l’umanità può vincere sul male o almeno provarci.
Per concludere e a conferma dell’importanza della Memoria, ecco le parole di Lev Trotsky: La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore.
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