Iconico e scandalizzante, violento e giustificabile; disgustoso, fumettistico, plateale, innocente, enigma di furia e di giustizia; di volgare messa in scena della violenza e di problematizzazione del mondo.
Queste, tra le altre, le etichette incollabili al film del ‘94 Natural born killers, che parte da un soggetto di Quentin Tarantino e nelle mani di Oliver Stone diventa tutt’altro prodotto. Se infatti, come per il regista di Knoxville, vi è un gusto trash-splatter che si esemplifica in un divertissement di sorda violenza dal forte impatto estetico, allo stesso tempo, sotto la guida di Oliver Stone, gli assassini nati, Mickey ( Woody Harrelson) e Mallory (Juliette Lewis) escludono la goduria sadica dello spettatore in cerca di emozioni e ne danno un’immagine (della violenza) complessificata rispetto alle dinamiche interiori, ai traumi e all’appiattimento valoriale, di questi, della società americana e del mondo.
Natural born killers si snoda in maniera lineare sotto diversi livelli: è un road movie e una storia d’amore innanzitutto, una fuga ossessiva e delirante di due anime colte dal disagio di essere al mondo e vive nell’inerzia del dis-farsi del mondo, escludendolo, cancellandolo, letteralmente uccidendolo e santificandolo nell’amore vicendevole.
Ma Natural born killers è anche altro; è anche denuncia e grido. Indignazione rispetto alla deriva sordida dei media americani, colpevoli di cavalcare, mediante una grottesca spettacolarizzazione, gli aspetti abominevoli della contemporaneità. Così il giornalista Wayne Gale (interpretato con istrionica verve da Robert Donway Jr.) costruisce per uno spettatore zombie il suo teatro catodico dove, i due folli assassini, assurgono ad icone e stuzzicano le idee dei giovani, creando un’empatia dai risvolti macabri, una surreale connessione di deliri.
Questa visione lascia intendere il pieno potere da parte di Stone della materia filmica: egli ne fa un film politico e lo arricchisce di spunti registici al limite della sperimentazione: dalla Situation-commedy della gioventù di Mallory, alle esplorazioni tra il documentaristico, il visionario e il manga.
Ne viene fuori un buon film, oramai diventato un cult degli anni ‘90, ambizioso e divertito, con una coppia che, nel bene e nel male, resterà, probabilmente per tante generazioni a venire, nell’immaginario degli spettatori.
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