1899, inquietudine e maestria – Recensione

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Che in Netflix ci fosse una serie che brillava di una luce diversa dalle altre ce ne eravamo accorti ai tempi di Dark. A distanza di pochi anni i creatori di quel pozzo senza fondo di sconvolgente fantascienza realizzano un’altra opera dai tratti inusuali: 1899.

Nel panorama piuttosto monotono e inflazionato di servizi di streaming e serie TV tutte un po’ uguali tra loro, 1899 ha veramente qualcosa che altri prodotti seriali non hanno. Si percepisce un universo differente, la realtà delle cose veramente appare ben diversa da quel che è veramente (o forse era davvero tutto vero?).

Innanzitutto ci troviamo introiettati in un ambiente di fine diciannovesimo secolo, con tutta la sua ambivalenza. Abbiamo lo splendore più abbagliante che caratterizzò la Belle Époque, splendidi esemplari di esseri umani dai più svariati Paesi e dalle più disparate culture del mondo al massimo della loro bellezza e appariscenza. E abbiamo anche tutta la violenza, la crudeltà, il male interiore di una società che si credeva matura abbastanza da controllare il mondo e che poi si sarebbe scontrata con le tragedie delle guerre mondiali e dei totalitarismi.

1899 recensione

Conosciamo ogni angolo della Terra, i deserti più lontani, le vette più elevate, eppure quello che c’è in fondo al mare rimane un mistero.

La narrazione di questo mondo contorto, complesso, forse bipolare o semplicemente manipolatore, di questo mondo così vicino al nostro, avviene attraverso le vicende che si svolgono all’interno di un piroscafo sull’Atlantico e alla scomparsa e al ritrovamento di una nave della stessa compagnia: il fantomatico Prometheus.

Al di là di questo ritrovamento carico di circostanze anomale, misteriose e potenzialmente sconvolgenti, è il collettivo umano che si svela per il mostro che è veramente. Come un magnifico fiore che, petalo a petalo, si denuda in un raccapricciante vegetale. Vediamo quindi una serie di storie apparentemente innocue, tenere, delicate, normali, che nascondono inquietanti esperienze, tragiche perdite, storie di violenza e di dolore, compiuti o subiti che siano.

1899 offre un modo molto interessante di raccontare queste vicende. Al netto di una magnifica scelta di cast, montaggio e scenografia, è il comparto sonoro quello che lascia più sbalorditi. I vari episodi si snodano in un susseguirsi di suoni, sottofondi, sussurri, bisbigli, cacofonie e bizzarri sintetizzatori che si rincorrono tra loro insieme al fruscio delle onde e ai rumori dei macchinari del piroscafo. L’effetto che ne scaturisce è quello di una costante presenza vicino a noi, una sorta di livello intermedio tra noi spettatori e la serie che stiamo guardando, un personaggio ulteriore, onnipresente quanto e più di noi, che ci rende fin troppo partecipi e testimoni della follia dei protagonisti.

Un effetto che per molti versi ha ricordato le esperienze videoludiche di Hellblade: Senua’s Sacrifice, straordinario videogame pubblicato pochi anni fa e molto improntato sul desiderio di mettere in scena il più possibile sensazioni fisiche legate a malattie mentali. Un effetto che rientra perfettamente all’interno del mondo di 1899 e di quello che narra episodio dopo episodio.

A livello narrativo poi non si può non riconoscere un’impronta lovecraftiana. Il ritrovamento del Prometheus, una nave scomparsa da quattro mesi, che invia le proprie coordinate nonostante non ci sia più nessuno (o quasi) a bordo, nonostante il telegrafo sia palesemente e fatalmente danneggiato da un lungo periodo di tempo: sono tutti elementi di mistero e di narrazione sovrannaturale che richiamano molto quanto narrato dallo scrittore del Rhode Island. Chiaramente non si ha a che fare con il mondo di Chtulhu, ma l’aura di mistero e il modus narrandi di 1899 si rifanno a quei modelli.

Eccellente poi la scelta del casting, con una squadra di interpreti perfetti per i ruoli a cui sono destinati. In particolare, sono da elogiare i protagonisti Emily Beecham nella parte di Maura Franklin e Andreas Pietschmann in quella del Capitano Eyk Larsen. Ma meritano una lode anche le interpretazioni di Miguel Bernardeau e Rosalie Craig. Attorno a questi personaggi ruotano la maggior parte delle vicende, conseguenza anche del forte carisma che ispirano, ma anche della portata culturale che le loro azioni manifestano.

Il personaggio di Maura Franklin riflette una condizione femminile che, per quanto altolocata socialmente, si scontra con il famigerato tetto di cristallo che blocca carriere e crescite personali: in particolare, la sua esperienza medica viene talvolta denigrata o sottostimata da colleghi o semplici passeggeri, perché “una donna che si occupa di scienza e medicina è strana” e comunque “non potrebbe praticare adeguatamente il mestiere perché troppo emotiva”.

Angel, interpretato da Miguel Bernardeau, è un personaggio che offre alla serie la possibilità di trattare tematiche LGBTQ+, ambientandole in un’epoca in cui lo scandalo che questi orientamenti provocavano era drammaticamente più elevato rispetto a oggi (sebbene, ancora…).

Il Capitano Larsen riflette quel personaggio ormai archetipico della cinematografia tedesco-scandinava e ormai diffuso un po’ ovunque dell’individuo stravolto dalle tragedie personali, dedito a comportamenti autodistruttivi, eppure indomito nella sua volontà di arrivare in fondo a determinate sfide e a superare gli ostacoli che i superiori o la società cercano di porre. La prova di Pietschmann, che tra l’altro già aveva brillato in Dark, è assolutamente molto valida.

1899 recensione

Il mistero che si diffonde fin dalle prime azioni e dalle prime apparizioni di Rosalie Craig, la forza che il suo personaggio esprime, le capacità superiori di cui sembra dotata fin da quella prima fatidica tazza di tè all’inizio della serie, sono tutti elementi che lo rendono un personaggio spaventosamente affascinante, complice anche la magnetica interpretazione.

1899 è una serie nuova e fresca. I suoi creatori Baran bo Odar e Jantje Friese, come già avevano fatto con Dark, offrono un taglio narrativo decisamente inconsueto, con una trama di partenza molto convincenti e uno sviluppo ben calibrato. La sapienza nelle scelte di montaggio e la colonna sonora sono ulteriori pilastri di una struttura assolutamente diversa dal resto dell’offerta seriale, gettandoci in un baratro di oscurità come poche altre volte si è provato nella vita. L’inquietudine che suscitano le sue scene, anche i dialoghi più semplici o i gesti più innocui, sono la prova della straordinaria realizzazione che è questa serie.

Daniele Carlo
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