Felicità di Micaela Ramazzotti: recensione in anteprima

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Presentato all’80esima Mostra del Cinema di Venezia 2023, nella sezione Orizzonti Extra, Felicità porta a casa il Premio degli Spettatori – Armani Beauty. Micaela Ramazzotti, al suo esordio dietro la camera, ci trascina nel complesso universo di Desirè, interpretato da lei stessa e scritto a sei mani con le sceneggiatrici Isabella Cecchi e Alessandra Guidi.

Felicità è il film d'esordio alla regia di Micaela Ramazzotti a Venezia 80
Micaela Ramazzotti in una scena di Felicità

Desirè, make up artist nel mondo del cinema, si indebita con degli strozzini per fare in modo che il fratello Claudio (Matteo Olivetti) possa ottenere un lavoro come autista di NCC, il tutto sotto la pressante volontà dei genitori (Max Tortora e Anna Galiena). I mesi passano e l’assenza di lavoro, un misto di depressione e un’overdose di farmaci portano Claudio al tentato suicidio. Desirè combatte per fargli avere degne cure mentre i genitori, incapaci a comprendere, minimizzano il disagio mentale del figlio.

Viene così fuori il quadro di una famiglia disfunzionale dove si scontrano le visioni provinciali a quella della protagonista, che nella sua semplicità, vuole solo curare il fratello. E nemmeno il suo compagno, un intellettuale e snob professore di università, interpretato da Sergio Rubini, riesce a esserle di supporto poiché vittima del suo narcisismo. Desirè rimarrà così sola a combattere contro un sistema sanitario pubblico poco presente, dei genitori ignoranti e un compagno egoico.

Felicità affronta le cause e le conseguenze di un tentato suicidio mantenendo lo sguardo sulle dinamiche familiari.

Felicità di Micaela Ramazzotti: recensione in anteprima

In sottotraccia, viaggia una critica al macrocosmo della sanità pubblica e, più in piccolo, dell’universo cinema. Claudio non riesce ad avere accesso a prolungate cure mediche e l’unica soluzione è la costosa via delle cliniche private. Se in Qualcuno Volò Sul Nido del Cuculo (che viene brevemente citato) si criticava principalmente il sistema psichiatrico qui si giudica la retrograda percezione esterna della malattia mentale. Allo stesso tempo, per contestualizzare Desirè, si racconta del suo universo lavorativo fatto ancora di abusi sessuali, nepotismi e soprusi. Così, l’unica via resta la forza interiore del singolo che deve sbracciare per raggiungere qualsiasi piccolo grammo di felicità.  

Tutta la tecnica viene lasciata nelle mani di grandi esperti: la fotografia a Luca Bigazzi che dona un’immagine sobria e sempre a disposizione della narrazione. Il montaggio di Jacopo Quadri ogni tanto si perde in problemi di continuità ma che, nonostante tutto, ci lascia vivere gli istanti che intercorrono tra i personaggi. I costumi invece sono stati affidati a Catia Dottori, le musiche a Carlo Virzì e a Paolo Sansoni la scenografia.

Felicità di Micaela Ramazzotti: recensione in anteprima

Infine, la scrittura di Felicità, densa e carica di significato, trova troppo spesso soluzioni narrative in somme di drammi. La drammaturgia si basa su giochi di addizione e gli snodi vengono talvolta affossati da ulteriori conflitti. Viene così data l’istantanea di una realtà che non vede alcuna scelta se non quella della strada dell’individualismo perché la collettività si è eclissata nei propri egoismi. 

Micaela Ramazzoti porta in scena dei personaggi e un soggetto già noti della sua filmografia da attrice (vedi La Prima Cosa Bella o La Pazza Gioia) così approfondendo la sua ricerca narrativa. E questa volta si focalizza sull’aspetto manipolativo dei pianeti che gravitano attorno a Desirè dove, anche il loro sole, è imperfetto perché si nasconde dietro a pietismi, ingenuità e bugie. Ma queste bugie sono più bianche che colorate, e si rimane a rimirare la sua determinazione e la sua semplicità.

E questi sono gli stessi sentimenti che si vivono guardando Felicità che, nonostante le sovrastrutture drammatiche, rimane un film pulito con un messaggio chiaro. E ci si appassiona a Desirè quanto a questo piccolo ma ottimo inizio alla regia per Micaela Ramazzotti.

Recensione a cura di Giovanni Busnach

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