How to Have Sex: recensione

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How To Have Sex è il lungometraggio di esordio di Molly Manning Walker. Presentato a Cannes, ha riportato a casa premio nella categoria Un Certain Regard oltre a 3 nomination ai BAFTA. Si tratta di un coming-of-age che affronta la tematica del consenso sessuale, le sue conseguenze e ci lascia riflettere sulle sue cause sociali.

La storia segue la vacanza di Tara, Em e Skye, tre giovani ragazze inglesi, che hanno appena terminato il liceo, che vanno a Malia (Creta) alla ricerca de “la vacanza migliore al mondo”. Questa si declina in feste, clubs, alcohol e ricerca di sesso assieme ai loro vicini di stanza: Badger, Paddy e Paige. Tra le tre, la protagonista, Tara, ha come obiettivo di perdere la verginità ma, il suo desiderio si tramuterà in uno scontro con una realtà ingiusta.

How to Have Sex viene ambientato nella leggerezza e goliardia del divertimento di massa in Grecia. Tre sedicenni partono con l’idea di vivere dei semplici momenti di spensieratezza. Tara comincia invaghirsi dell’affettuoso Badger ma, a una festa crolla il suo idillio quando, per un gioco, riceve del sesso orale sul palco da delle ragazze. La sua ricerca edonistica e romantica da parte di Tara, però, finisce in spiaggia con Paddy. Quest’ultimo, dai modi grezzi e duri, le prende la verginità con violenza e mantenendo poi un forte distacco sentimentale.

L’elaborazione dell’evento è difficile per Tara, e la lascia ferita e confusa, sia negli atteggiamenti verso le sue amiche che verso le sue personali emozioni. Il dolore di Tara non viene percepito da Paddy e la regia di Molly Manning Water insiste nel mettere l’accento anche sulla percezione esterna femminile. Ad esempio, Skye (Lara Peake) è una delle migliori amiche della protagonista ma non comprende appieno la gravità dell’evento.

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Dunque, ciò che si vuole riportare, in How to Have Sex, è l’assenza di empatia che vivono anche le persone più vicine. La recitazione di Mia McKenna Bruce è di alto livello, un’immedesimazione che deriva con forza da un evento realmente accaduto alla regista. Tara soffre per la sua integrità sessuale e, in aggiunta alla scoperta dei pessimi risultati scolastici, si tramuta in un senso di disagio estremo. La sua gestualità, la sua perdita di controllo, ha personalmente ricordato a brevi tratti l’iconica performance di Gena Rowlands in A Woman Under The Influence di John Cassavetes.

La regista, navigata direttrice della fotografia, gioca su movimenti di camera e colori pop per tutte le parti che riguardano il divertimento. Fluorescenze e ipersaturazioni della vita notturna greca inebriano un po’ come fece Spring Breakers di Harmony Korine. Ma, come ogni post-sbornia, il registro poi diventa asciutto. Non ci sono eccessi, ma luci più naturali che ci fanno vedere la realtà con meno filtri. Ed è infatti di grande impatto l’immagine di Tara, che dopo la notte con Paddy, si ritrova senza cellulare a vagare in solitario per un viale di Malia circondata dall’immondizia della notte precedente. Lei, nel suo vestito verde fluorescente, con quella camminata, ci racconta tutto il film. Chapeau.

Manning Walker affronta la tematica del sesso giocando sul titolo stesso del film. Racconta cosa sia e cosa non dovrebbe essere. Analizza il consenso con crudezza mettendoci davanti a degli eventi che, purtroppo, avvengono regolarmente. Lascia intravedere le difficoltà senza però essere gratuita nella sua rappresentazione visiva. E le conseguenze vengono approfondite per aprire un dibattito fuori schermo sulle cause della mancanza di cultura sessuale.

How To Have Sex è un coming-of-age che racconta quanto la realtà per molte ragazze sia ingiusta. L’educazione maschile arriva da molte fonti: in casa, a scuola, amicizie e altro ancora. E questo è un necessario film integrativo nella crescita dei/ delle giovani. È un’opera che fa riflettere e che può insegnare al pubblico oltre che a far ben sperare per la carriera di Molly Manning Walker.

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