Diverse forme di dipendenza: “Requiem for a Dream” e il dramma della solitudine

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Quando arriviamo ad usare il termine “spiazzante” per descrivere un film dall’impatto emotivo particolarmente forte, abbiamo la conferma dell’ottimo lavoro svolto dal regista in questione. Una situazione del genere si presenta con Requiem for a Dream, riadattamento cinematografico di Darren Aronofsky dell’omonimo romanzo del ’78 di Hubert Selby.   


Il successo di Requiem for a Dream parte dall’eccellente qualità del cast, in particolare dei personaggi principali Ellen Burstyn, Jared Leto, Jennifer Connelly e Marlon Wayans. I punti di forza di Requiem for a Dream sono molteplici; ogni singolo particolare gioca un ruolo fondamentale per entrare pienamente nell’atmosfera disarmante di questo film, a partire dalla maestosità della colonna sonora – curata da Clint Mansell – e proseguendo con la sapiente scelta dei colori, prevalentemente freddi, ricorrenti nei vari luoghi, che contribuiscono non poco a delineare ambienti in linea con l’angoscia che Aronofsky ha l’obiettivo di trasmettere.
Anche se non si è eccessivamente empatici, si riesce comunque ad immedesimarsi perfettamente nei protagonisti Harold (Jared Leto), Sara (Ellen Burstyn), madre di quest’ultimo, e Marion (Jennifer Connelly), fidanzata di Harold. I tre rappresentano le figure più tragiche all’interno del film e, non casualmente, spetteranno loro dei finali altamente rovinosi. La loro descrizione avviene massicciamente in senso psicologico; tramite le loro esperienze si arriva ad esplorare i meandri più profondi della desolazione umana, della solitudine e del tormento.

Il film è suddiviso in tre sezioni: Summer (Estate), Fall (Autunno) e Winter (Inverno), ovvero le stagioni meno una. Essendo un lungometraggio dal carattere prettamente drammatico, l’assenza di una sezione intitolata Spring è quasi prevedibile; la primavera è sinonimo di rinascita, concetto totalmente assente per il microcosmo di Requiem for a Dream.

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Jennifer Connelly (Marion) e Jared Leto (Harold).

Summer

Questa prima parte è funzionale all’introduzione dei personaggi. Una delle primissime sequenze è quella del diverbio tra Sara Goldfarb e suo figlio Harold, che è estremamente significativa e spiega già parecchie cose sulla personalità di Sara. Il litigio avviene perché quest’ultima ha legato la televisione con una catena al termosifone, al fine di non farla rubare da suo figlio – che andrebbe a rivenderla in cambio di soldi per l’eroina –. Non appena Harold esplode in uno sfogo d’ira, Sara si chiude a chiave in una stanza ed osserva i movimenti del figlio dall’uscio. Quando lui esce di casa – dopo essere riuscito ad appropriarsi del televisore e, successivamente, a rivenderlo –, lei nega che tutto ciò che ha appena visto sia accaduto realmente.

This isn’t happening. And if it should be happening, it would be all right. So don’t worry, Seymour. It’ll all work out. You’ll see already. In the end, it’s all nice.

Harold non intende prendersi la responsabilità del senso di colpa che sta provando; dirotta il peso di questo sentimento sulla madre, in uno sfogo iracondo che riflette la sua impotenza di ribellarsi da tale fardello.

Why you gotta make me feel so guilty, Ma?! What are you doing? Trying to get me to break my own mother’s set? Or radiator? And maybe blow up the house? Your own flesh and blood! Is that what you’re trying to do? Your son? Why you play games with my head, for Christ’s sake?

Le sequenze successive ci portano a conoscere Marion e Tyrone, rispettivamente la fidanzata e l’amico di Harold. Capiamo subito che i loro stili di vita sono gli stessi quando viene introdotto il piano che, tramite un traffico di eroina, li porterebbe a guadagnare alte somme di denaro; Marion, inoltre, avrebbe denaro a sufficienza per realizzare il sogno di aprire uno studio di moda e diventare stilista.        

Sara riceve una telefonata in cui le viene comunicato che apparirà in un programma televisivo. Pianificando di indossare un vecchio abito rosso che non è più della sua taglia, inizia una dieta presa da un libro che promette di perdere peso in soli dieci giorni. Quando la signora Goldfarb decide di dimagrire è come se intraprendessimo un viaggio nella sua mente; tramite sequenze sapientemente montate ci immergiamo totalmente nell’atmosfera della sua desolata abitazione e della medesima Sara, che ha delle serie difficoltà nel combattere contro gli istinti della fame. Discutendo della dieta con le sue amiche, Sara decide di cambiare strada e opta per delle pillole dimagranti che inizialmente sembrano funzionare.         

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Ellen Burstyn (Sara Goldfarb).

Una delle prime cose di cui ci accorgiamo è la spiazzante solitudine di Sara, che le amiche non riescono neanche lontanamente a colmare. È arrivata in una situazione del genere dopo la morte del marito e dopo che il figlio Harry è andato via di casa.               
Viene spontaneo chiedersi: prima di queste due grandi assenze, la signora Goldfarb conduceva davvero una vita serena? È difficile pensare che un personaggio così tormentato abbia generalmente condotto una vita soddisfacente. Viene da pensare ad eventuali traumi lasciati irrisolti, o magari ad un clima familiare pesante – vista anche la vita sregolata che conduce il figlio Harry –. Queste, tuttavia, rimangono ipotesi e la trama non ci fornisce risposte inerenti al passato di madre e figlio; possiamo dedurre soltanto quanto immensamente Sara arrivi a soffrire l’assenza della propria famiglia.

I’m somebody now, Harry. Everybody likes me. Soon millions of people will see me and they’ll all like me. I’ll tell them about you and your father. How good he was to us. Remember? It’s a reason to get up in the morning. It’s a reason to lose weight, to fit in the red dress. It’s a reason to smile. It makes tomorrow all right. What have I got, Harry? Hmm? Why should I even make the bed or wash the dishes? I do them, but why should I? I’m alone. Your father’s gone, you’re gone. I got no one to care for. What have I got, Harry? I’m lonely. I’m old.

You got friends, Ma.

It’s not the same. They don’t need me. I like the way I feel. I like thinking about the red dress… and the television and you and your father. Now when I get the sun, I smile.

Fall

Qui le cose iniziano gradualmente a peggiorare. Tyrone è in carcere, nonostante sia innocente, dopo essere incappato in una sparatoria; al fine di liberarlo tramite pagamento della cauzione, Harold spende tutto il bottino guadagnato in precedenza. L’atmosfera tra quest’ultimo e la sua fidanzata inizia ad intorbidirsi, specie quando Marion pone il problema riguardante il modo in cui potrà riguadagnare quel denaro; inizia così a prostituirsi, suscitando gelosia e paranoie varie in Harold. La ripresa dei traffici illegali non è nemmeno lineare, dal momento che viene ristretta la fornitura locale di eroina.      
La relazione tra Marion e Harold inizia a rivelarsi per ciò che è realmente; un flebile rapporto tenuto insieme esclusivamente dalla tossicodipendenza. Quando lei – visibilmente in preda ai sintomi dell’astinenza – si accorge che il suo ragazzo non ha nulla in mano, ha un vero e proprio attacco d’ira e accusa Harold di essere un fallito. La sua disperazione tocca il fondo quando si prostituisce, in cambio di eroina, per Little John (Keith David), un meschino individuo che gestisce un giro di schiave sessuali.    

         

Winter

Sara, nel frattempo, inizia ad avere allucinazioni e distorsioni della realtà; la sua mente annebbiata dai medicinali le fa credere di essere motteggiata dal pubblico di uno spettacolo televisivo e di essere attaccata dal frigorifero, che vede muoversi ed avvicinarsi sempre più a lei. La sua salute mentale è ridotta a brandelli e le allucinazioni visive ed uditive costellano le sue giornate. Decide, dunque, di raggiungere l’ufficio dal quale le è arrivato l’invito telefonico alla trasmissione televisiva da lei seguita. L’addetta alla reception si rende conto di avere davanti una persona chiaramente bisognosa d’aiuto: Sara è madida di sudore e totalmente delirante e verrà condotta in un ospedale dove, non rispondendo ai vari medicinali propinati, sarà sottoposta all’elettroshock.       

Le scene finali sono di un’intensità disarmante e seguono un climax ascendente di tragicità e totale distruzione del sé. L’elettroshock porta a termine il processo di spersonalizzazione della signora Goldfarb che, giunta al limite del distacco dalla realtà, continua ad immaginare il momento da lei sempre atteso; la sua presenza allo show televisivo. Nella visione che immagina viene dichiarata vincitrice di un premio e quest’ultimo si rivela essere suo figlio Harold, che è l’esatto opposto rispetto alla sua immagine reale; si trova, infatti, in ospedale, dove ha subìto l’amputazione del braccio dopo la cancrena dovuta ad un’infezione trascurata. Marion, in cambio dell’eroina, viene condotta da Little John a presenziare un rapporto omosessuale davanti ad un pubblico maschile.            

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