Sono passati due giorni dalla “chiamata alle mascherine” di Conte a Chiara Ferragni e Fedez, ma il dibattito social non si placa. Eppure i Ferragnez non sono stati i primi ad essere stati interpellati dalle istituzioni per un appoggio esterno. Sono secoli che la politica si rivolge alla popolarità e all’estro di determinati personaggi per veicolare messaggi importanti
Nonostante il “caso Ferragnez”, il mio pensiero si vuole spingere oltre, vuole essere più elevato e andare al di là della semplice polemica da bar. Oggi voglio fare più un excursus storico-politico legato all’arte, voglio raccontarvi di come la politica abbia ricorso nel tempo all’intermediazione di artisti, voglio parlarvi del mecenatismo istituzionale, del cinema di regime e di quella volta che Elvis Presley si vaccinò in diretta nazionale.
Prendere una posizione netta. Non restare a guardare. Protestare. Smuovere le masse. Tutte queste azioni vengono comunemente decodificate con il termine “attivismo”. Sappiamo bene che nel tempo artisti di vario genere hanno combattuto – e stanno combattendo – una battaglia sociale. Il loro è un gesto di responsabilità civica. La loro arte offre una voce a chi non ce l’ha.
Ed è qui che mi viene in mente un termine in lingua inglese che ben si sposa su quanto sto dicendo: “Artivism” – “Artivismo” – che coniuga attivismo con arte. Se l’attivismo è la voce che rompe il silenzio degli oppressi, l’arte è la cassa di risonanza più potente che possa esserci.
La presa di coscienza degli artisti anticipa la messa in atto delle concrete azioni in risposta a temi caldi del presente quali le diseguaglianze sociali, le morti in mare, l’ambientalismo, LGBTQ, la censura, i femminicidi, le mascherine. Ed è proprio dietro la presa di coscienza che numerosi artisti hanno partecipato all’attività socio-politica nel passato con cortei e manifestazioni, nel presente con post e dirette instagram.
Dietro alla loro influenza, la politica spesso ha riconosciuto l’importanza comunicativa e ha chiesto una mano a personaggi influenti di affiancarli nel propagare dei messaggi importanti.
E’ innegabile che esiste un fil rouge che lega l’arte e il potere.
Il potere, soprattutto quello politico, ha un legame ambiguo con l’arte: se da una parte ne ha bisogno per una comprensione dell’animo umano e perché, se intelligentemente utilizzato, lo strumento artistico può divenire uno dei più potenti mezzi di propaganda; dall’altra parte il potere è intimorito dall’estro proprio per quella sua capacità di smuovere le coscienze che potrebbe essere causa di ribellione sociale.
Per questo motivo, nel corso della storia, il potere politico si è ritrovato a dover fronteggiare il pensiero artistico e a volerlo assoggettare alla propria volontà. Così le istituzioni si divisero nell’uso delle modalità di controllo: c’è chi preferiva la censura e chi il mecenatismo. Uno degli scopi primari dei mecenati del Rinascimento – l’epoca storica in cui il mecenatismo istituzionale acquisì rilevanza – era quello di assicurarsi che le arti promuovessero ed esaltassero l’assetto istituzionale cui facevano parte. Tuttavia, devo sottolineare il fatto che il supporto degli artisti era sempre elegantemente velato.
Oggi tutto è cambiato. Ma il mecenatismo politico non è andato perduto, si è semplicemente evoluto. Dobbiamo guardare il mecenatismo sotto una veste diversa, più moderna, perché il potere non è più quello della famiglia Medici, ad esempio, ma è quello economico. Regna il potere del denaro che si insinua ovunque, dalla musica alla comunicazione.
Le foto pubblicitarie di David LaChapelle sono le madonne di Raffaello. I registi che stringono la camera sul braccio teso in avanti non si discostano più di tanto dal lavoro dei pittori barocchi del Seicento.
Da questo comprendiamo che mentre il potere si evolve con le esigenze e i valori della società, l’arte resta l’ascendente principe per le persone. Se questi due elementi cambiano con il tempo, il loro rapporto invece resta immutato in ogni epoca storica, conservando quelle due caratteristiche di timore e reverenzialità.
Dunque, non mi stupisce il fatto che Conte abbia chiamato i Ferragnez per sensibilizzare i più giovani all’uso della mascherina. Non mi scandalizzo perché in una situazione di emergenza sanitaria globale il Presidente del Consiglio abbia chiesto una mano a due influencer che portano a casa 32 milioni di follower.
Così come, con mezzi e modi diversi, nel 1956 Elvis Presley si fece il vaccino anti poliomielite davanti alle telecamere.
La prima vera icona pop della storia della musica, prima di presenziare all’Ed Sullivan Show, non ci pensò due volte ad accettare l’invito delle istituzioni per aiutarle a diffondere il buon senso contro la paura e la disinformazione dilagante. Elvis, non solo invitò tutti a non ritenere sconfitta la polio e a non abbassare la guardia, ma si fece vaccinare. Tanto che, grazie alla sua influenza, la copertura vaccinale crebbe dal 75% al 90%, e in 10 anni i casi di polio scesero da 58mila a 910.
Ma, come i pittori sotto i mecenati, Elvis con il vaccino ed i Ferragnez con le mascherine, anche il cinema nel tempo ha contribuito a veicolare messaggi per la politica. Se oggi la settima arte realizza opere di denuncia ed è soprattutto libera di esprimersi, non è un mistero che durante il ventennio fascista Mussolini intuì l’incisività di questo nuovo mezzo di comunicazione, usandolo spregiudicatamente per sostenere la sua politica.
Proprio nel 1922, in seguito alla marcia su Roma, il duce affermò pubblicamente di ritenere il cinema “l’arma più forte dello Stato”, capendo immediatamente l’importanza dell’immagine per fare presa sul popolo. Tanto che non ci pensò due volte a creare l’Istituto LUCE per sponsorizzare il regime, tant’è vero che i cinegiornali avevano tre scopi ben definiti: mostrare la perfezione dei nostri armamenti, lodare la vittoriosa esecuzione delle nostre imprese belliche, prevedere l’inevitabile sconfitta del nemico. Tutti atti per l’affermazione dell’ideologia fascista.
L’arte di chicchessia è sempre un atto politico.
Non esistono artisti che producono arte disimpegnata, anche quando credono di essere distanti da dinamiche sociali e culturali più calde. Se prima il coinvolgimento degli artisti con le istituzioni era più celato, oggi è manifesto. Questo grazie alle nuove tecnologie che hanno lanciato una nuova era di comunicazione, sicuramente più economica, ma anche più rapida e diretta.
I Ferragnez possono mai paragonarsi a pittori rinascimentali o a Elvis? Chiara Ferragni cosa ha fatto per essere considerata un’artista? I social sono un’attività artistica?
A queste domande – che sicuramente vi siete fatti – provo a dare una serie di risposte mie, che sicuramente saranno soggette a critiche di vario genere, ma è una – mia – interpretazione della realtà. I Ferragnez di certo non possono paragonarsi a Michelangelo. La bellezza di Leone non si avvicina alla cappella Sistina e Fedez potrebbe raggiungere le tre ottave di Elvis solo con un miracolo. Eppure hanno una potenza comunicativa e persuasiva come pochi al mondo.
La comunicazione social, a suo modo, è arte.
Per questo motivo mi sento di considerare Chiara Ferragni artista della comunicazione e del marketing. Non vi strappate i capelli, please. Il suo talento è stato quello di pensare al blog The Blonde Salad e creare intorno una community interessata alle novità della moda. La strategia adottata è stata quella di “metterci la faccia” e generare contenuti di qualità, che siano al contempo coinvolgenti e di spessore.
Ovviamente la visione di business proposta da Chiara Ferragni, così come da tutti gli influencer, è emersa con lo sviluppo dei nuovi media, in particolare con il web 2.0, dove l’arte non viene più intesa come un fenomeno elitario, ma, in un certo senso, si è democratizzata. Con i social tutti gli utenti possono creare dei contenuti artistici e multimediali, visibili a chiunque.
In conclusione, nel contattare i Ferragnez, Conte non ha mancato di rispetto o scavalcato le istituzioni, così come non lo fece Eisenhower con Elvis.
La comunicazione deve coinvolgere tutti, giovani e meno giovani. Per questo il governo, per arrivare ad un determinato target, deve necessariamente coinvolgere gli influencer che sono delle pagine pubblicitarie viventi.
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