L’Eurovision 2024 è terminato. Ed Angelina Mango non ha mai avuto una chance di trionfare: questo è un mondo tutt’altro che noioso.
La lunga, lunghissima carrellata di brani – 37! – è giunta al termine del binario. Il treno di Nemo, con la sua The Code, è quello arrivato per primo, il suo ciuf ciuf imperativo e paillettato ha sconfitto l’esistenzialismo millennials di Baby Lasagna e la di dubbio buongusto canzone ucraina di Alyona Alyona and Jerry Heil – Teresa and Maria.
Le note dei brani da podio dell’Eurovision 2024
Il superfavorito Nemo, al secolo Nemo Mattler, classe 1999, è un cantautore e rapper svizzero poliedrico, che si identifica come non binario; il tema trattato da The Code è proprio la ricerca della propria identità, che oltrepassa il genere, e la cui illuminazione rappresenta il viaggio più eccitante della vita. Un treno, che sia lo Snowpiercer o un noioso Eurostar, in cui Nemo, da capotreno, diviene donna, uomo, non binario, è il set del video ufficiale di The Code.
Brano musicalmente piuttosto interessante: una riproposizione electro-pop di quanto già sentito nell’illustre Bohemian Rhapsody – peraltro citata nelle liriche di Nemo – e in cui il cantautore dà prova di eccellenti doti vocali.
Il brano migliore? Probabilmente no.
Baby Lasagna è un ventottenne di Umag, famosa località vacanziera istriana, paradiso in terra per tutti tranne che per i locali: veste l’abito tradizionale istriano con orgoglio, e fonde la cultura balcanica con sonorità industrial a là Rammstein. Con la sua Rim Tim Tagi Dim è impossibile non avvertire una connessione, se si è un expat: l’emigrazione forzata dalla Croazia – paese cui un terzo dei suoi cittadini è residente altrove –, così come dall’Italia o dalla Grecia, è una delle più grandi, personali, e nascoste, tragedie cui il mondo occidentale deve far fronte. Una storia universale, dunque. Un ragazzo che guarda la propria terra per l’ultima volta, quel ramo del lago di Como, l’ultima occhiata al villaggio natìo. Una minuscola tragedia, che in Europa è coniugata in svariati milioni di modi – uno per ogni umano che ha dovuto lasciare la propria casa a malincuore – sebbene narrata sul ritmo di una canzoncina ballabile e bregoviciana.
Il brano migliore dell’Eurovision 2024? Probabilmente sì. Per contenuto ed esecuzione.
Le due artiste ucraine, Alyona Alyona e Jerry Heil, sono due figure già note nella musica mainstream. La prima è una rapper affermata tanto da aver calcato il palco dello Sziget nel 2019, la seconda vincitrice di infiniti premi in patria. Figura scomoda, Jerry Heil ha causato, all’Eurovision, una certa tensione con la Polonia, indossando una maglietta con su-scritto Banderaciaga: Bandera era infatti il leader dell’esercito Insurrezionale Ucraino (collaborazionista di Hitler) , che, a metà anni ’40, durante l’occupazione nazista della Galizia e della Valonia, compì stragi nel villaggi di frontiera abitati principalmente da polacchi. Insomma, non proprio una scelta particolarmente saggia nei giorni piuttosto tesi che hanno portato all’Eurovision – e, ancor più, alla luce del conflitto israelo-palestinese.
Il brano, Teresa e Maria, è una ballad folktronica simile a quanto già proposto dai Go_A nei più felici anni passati: Madre Teresa e Maria di Nazareth vengono prese ad esempio di donne importanti della storia, al pari di generali alla guida di un esercito di donne per combattere per la libertà; il significato lirico del brano, però, si spinge oltre, umanizzando le due figure – tutte le divinità, una volta, sono state donne umane – e, al contempo, divinizzando tutte le donne ucraine morte in battaglia per ricacciare l’invasore al di là del confine. Di indubbio altissimo impatto emotivo la performance sul palco: Jerry, vestita come un’amazzone, e Alyona, come un samurai, vedono dietro di loro soldati avanzare e bombe cadere. Teresa and Maria conferma da un lato che il femminismo tutto deve ripartire dalle donne dell’est Europa – messaggio apportato anche da Veronika di Raiven, rappresentante della Slovenia. La scelta però di un personaggio scomodo, di ascendenza cristiana e non laica, e totalmente da rivalutare come quello di Madre Teresa, lascia però l’amaro in bocca riguardo un progetto che, altrimenti, avrebbe potuto divenire un vero e proprio inno del neo-femminismo.
Le note indigeste dell’Eurovision 2024
Veniamo alle note ancor più dolenti. Se già l’Eurovision, sin dal conflitto ucraino-russo del 2022 (e, ancor prima, del 2014), era già infiammato da tensioni interne, mai come nel 2024 il bollore sommerso è esploso in un uragano: Hurricane della ventenne Eden Golan, brano oggettivamente splendido se non fosse per quei pacati rimandi all’orgoglio ebraico. Hurricane è la distorsione metaforica di Israele fatta canzone; è la dissonanza cognitiva di tutti i suoi abitanti e dei suoi supporters al di fuori della Terra Santa; è la ricchezza del mondo che ha fatto del taglieggiamento sulle razioni d’acqua, sulle medicine, sull’elettricità, sui diritti umani, che diviene tecno-dittatura.
Il soldato israeliano, nel testo di Hurricane, non è invasore, ma eroica vittima cristologica; viene costretto a compiere gesti mostruosi, per un bene superiore – l’orgogliosa libertà di essere se stessi di un popolo che, da decenni, tenta di distruggerne, spazzare via dal pianeta, un altro. Golan canta come un angelo, si veste di un abito fatto di bende – più ferito che mummia -, sproloquia di amore mentre il suo governo blocca la libera informazione. Il brano, inizialmente, si chiamava October Rain: chiaro riferimento agli atti di Hamas del 7 ottobre.
Nelle concitate ore precedenti alla finale dell’Eurovision, molti sono stati i rumors che si sono susseguiti riguardo Eden e la sua famiglia: Eden è infatti di origine russo-israeliana, la sua famiglia possiede immobili nella Crimea occupata ed era già nota nel database ucraino Peacemaker . Durante le due dirette che l’hanno vista esibirsi, evidenti i fischi e le contestazioni alla sua discesa sul palco – immediatamente coperti con evidentemente falsi applausi, piuttosto high-pitched. La pioggia di voti popolari caduta su Eden Golan (non infuocati, però) ha rischiato di portarla sul podio.
Chissà se i preziosi shampoo e balsami di Moroccanoil non abbiano unto ed oliato qualche ingranaggio, nell’Eurovision 2024.
L’altra nota dolente, e tuttora confusa, riguardo questo Eurovision, è quella dell’Olanda, partecipante con Europapa di Joost Klein. Il brano più pan-europeo del platter, eurodance e divertente: una parata di piatti tipici dell’Unione Europea, un’ode all’unione fra i popoli del nostro vecchio e liso continente. Beh, Joost Klein, orfano di genitori, e attualmente autore del brano più ascoltato su Spotify dalla playlist dell’Eurovision 2024, è stato escluso per via di “gestualità aggressive” in circostanze ancora non chiarite. Da Euronews:
The European Broadcast Union put out a statement around midday on Saturday saying that the complaint was made after an incident following Klein’s performance in Thursday night’s Semi Final.
He had failed to attend two dress rehearsals in Malmo on Friday, prompting an investigation into the “incident”, by the EBU, the organiser of the contest.
It added that “while the legal process takes its course, it would not be appropriate for him to continue in the Contest.”
Le lunghe note ombrose sullo spirito europeo nell’Eurovision 2024
C’è molto, moltissimo, da spacchettare riguardo questo Eurovision 2024. Moroccanoil, azienda israeliana di cosmetici (che non c’entra niente col Marocco) è sponsor da ben tre edizioni: il contratto fu siglato nel 2019. A parere della scrivente, questa edizione darà adito a numerose teorie del complotto ai meno avvezzi alle complicatezze della politica internazionale, ma lascerà un doloroso amaro in bocca da reflusso gastroesofageo a chi – come la scrivente – crede tuttora nel sogno democratico degli Stati Uniti d’Europa – liberi dalle intrusioni di altre potenze di matrice occidentale ma decisamente meno interessate ai diritti umani tout court.
Forse, per il bipartisan – per un’apparente somiglianza di intenti e di civiltà, con quel paese non da tutti riconosciuto che giace fra il Mediterraneo, il fiume Giordano e le montagne del Libano –, per il quieto vivere, troppo è stato permesso: forse, allo scoccare dei trentamila morti (non ebraici, ma scuri di carnagione, che pregano allo stesso dio ma con un nome diverso), forse, e dico, forse, sarebbe stato d’uopo attuare delle politiche differenti. Non oscurare i fischi. La democrazia è critica diretta, è urla, è scendere in piazza. È dibattito, non imposizione. Non è arrestare i manifestanti pacifici fuori dalla Malmo Arena, inclusa Greta Thunberg. Non sposare ciecamente il manicheo dividendo dei diritti umani – sacrosanti – delle persone LGBTQ+, rappresentato da Nemo, tralasciando che, di diritti, anche coloro che muoiono sotto le bombe, ne hanno. Così come in cielo, tanto in terra: così come in Ucraina, così come in Armenia e Azerbaijan, così come a Gaza.
Dov’è lo spirito europeo di Joost Klein, qui? Dov’è il sogno di Arturo Spinelli? Dove sono quei punti fermi su cui si fonderebbe la nostra civiltà, stelle gialle, tutte uguali, su un mare blu?
È forse, quel paese che si snoda fra il Mediterraneo e il deserto, fra il fiume e il mar Rosso, fra un mare morto e la terra dei Faraoni, più umano di altri umani per gli organizzatori dell’Eurovision?
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