Il coraggio di Fedez di chiamarli per nome (e cognome)

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Pensavo che sul palco del Primo Maggio non avrei mai più visto artisti capaci togliersi il microfono come scudo ed usarlo come arma di comunicazione e sensibilizzazione di massa, un po’ come fece Daniele Silvestri quando si presentò a Piazza San Giovanni con la maglia di Berlusconi per cantare Il mio nemico, per capirci. 

Ma Fedez è tornato a fare politica sul palco del Primo Maggio come non lo si vedeva da tanti, troppi, anni. Federico Leonardo Lucia ha fatto una cosa enorme dall’alto dei suoi oltre 12 milioni di followers. E lo ha fatto a meno di ventiquattro ore da quando due “comici” hanno avuto l’arroganza e l’ignoranza di raccontarci che le parole non hanno un peso perché “è tutto nella testa” e che se “vi chiamano ricchioni, voi ridetegli in faccia”, perché loro sono politicamente scorretti. 

Eppure Fedez, come un fiume in piena, ha avuto il coraggio e la capacità di smentirli, sottolineando che le parole hanno un peso e quando le leggeva, una ad una, quelle parole, tremava con la gola asciutta, sinonimo di presidio di democrazia senza dogmatismi. Perché, quando dici una cosa pesante e importante e influente e autorevole e giusta e responsabile, tremi, non sghignazzi. 

Fedez ha avuto la fermezza di fare nomi e cognomi, nonostante la censura della Rai che malamente ha provato a smentire prima che lo stesso rapper pubblicasse sulla sua pagina social il video in cui ha registrato la conversazione dove lo invitavano, diciamo così, a tacere e, quindi, ad essere complice di quel sistema che non intende denunciare chi vuole privare dei diritti civili, ma li vuole proteggere. 

Ma Federico non ci sta. Su quel palco ha iniziato a fare un elenco devastante su tutto l’odio omofobo, figlio del più basso e becero fascismo, dette dai leghisti nel corso di questi anni: “Se avessi un figlio gay lo getterei nel forno”; “I gay sono aberrazione della natura”; Fanno le iniziazioni ai bambini per farli diventare gay”.

fedez

Fedez, senza paura, non si è lasciato intimidire. È andato dritto per la sua strada, fregandosene delle conseguenze, con il solo obiettivo di difendere e tutelare tutte quelle persone che ancora subiscono violenze e discriminazioni per ciò che sono, nonostante sia ricco. E si, perché un uomo privilegiato, benestante, bianco, etero, padre di una “famiglia tradizionale” e con indosso un cappello Nike può e deve avere la forza di polarizzate il dibattito, di non tacere davanti alle ingiustizie, di dare voce a chi non può gridare, di combattere le battaglie sociali, anche se non ti toccano direttamente.

Andare contro il politicamente corretto è esattamente quello che ha fatto Fedez al Concertone, citando il Codacons e la vicedirettrice di Rai3, fare nomi e cognomi dei leghisti, di Ostellari e Pillon, di rivolgersi al “caro Mario” e parlare del Vaticano, non le quattro fregnacce sparate da Pio e Amedeo. 

Il nostro Paese ha bisogno di artisti, influencer e politici liberi di esprimersi, capaci di solidarietà e con la forza di battersi per ciò in cui credono come Federico. 

Isabella Insolia
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1 commento su “Il coraggio di Fedez di chiamarli per nome (e cognome)”

  1. E’ pazzesco non c’è niente da fare…vi dimenticate sempre (o forse più probabilmente omettete deliberatamente di citare) che la RAI non, ripeto NON è un profilo social privato dove chiunque ha facoltà di intervenire per esprimere la propria più che legittima opinione nelle modalità e con i toni che preferisce.
    La RAI è un servizio pubblico che *nelle intenzioni* (vabbè, lasciamo stare nei fatti come sta davvero messa) dovrebbe garantire un pluralismo d’informazione e un servizio imparziale. Questo significa che se va sul palco Fedez a dichiarare la sua contrarietà al ddl Zan, ci dovrebbe salire anche uno come Adinolfi a straparlare di quello di cui straparla solitamente Adinolfi.
    Possiamo dire a ben ragione che la Governance RAI fa schifo, che è un sordido retaggio del passato, che la riforma del 1975 fa vomitare perché i politici devono stare fuori dal CdA, ma finchè i politici PER LEGGE hanno diritto di stare nel CdA, un vicedirettore di rete ha il sacrosanto diritto/dovere di esercitare le sue funzioni per tutelare un certo tipo di impostazione. Piaccia o no, è il suo ruolo. Attenzione, ho detto un certo tipo di impostazione, non di pensiero politico.
    La natura delle opinioni di Fedez è difatti del tutto irrilevante: il fatto che il ddl Zan si pone l’obiettivo di superare in maniera sacrosanta alcuni limiti (per usare un eufemismo) della vigente legislazione conta meno di zero: il punto è che se Fedez avesse fatto il suo intervento sul suo profilo tik tok ne avrebbe avuto tutto il diritto. Durante il concertone del 1° Maggio su una rete del servizio pubblico pone invece un problema di contesto.

    Prendersela con la Capitani per averlo evidenziato evidenzia da parte vostra davvero tanta miopia.
    Sì, è vero che la Rai stipula con iCompany un contratto per i diritti di broadcast dell’evento e non avrebbe di per sè voce sui contenuti, ma vi faccio una semplice domanda: se invece di Fedez a difendere il ddl Zan fosse salito Giuliano Ferrara a stroncarlo come avreste reagito? Non vi sareste incazzati a morte per averlo permesso o quantomeno non avreste preteso un contradditorio?
    E allora vedete che ne fate pure voi una questione di opinione, sbagliando clamorosamente? Dal tono di questo articolo si evince che siccome il ddl Zan è progressita (e lo è), allora secondo voi “vince” sull’oscurantismo leghista e sui leghisti che devono quindi essere bastonati in diretta sul servizio pubblico senza diritto di replica in tempo reale.

    Io sono a favore di questo ddl, voglio che un domani un mio potenziale figlio omosessuale sia più tutelato di quanto non lo sia ora, ma Fedez era clamorosamente fuori contesto e ha pisciato fuori dal vaso.
    Tutto qui.

    Matteo

I commenti sono chiusi.

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