Da oggi Grease non sarà più come prima. È impossibile che lo sia. Un velo di tristezza invaderà quelle due ore di spensieratezza quando penseremo a Olivia Newton-John e a quei fuseaux luccicanti o alla tutina in raso nera, ai capelli cotonati o alla frangia bionda, al rosa candy e ai pattini a rotelle. Pensiamo a lei e quasi in maniera automatica ci tornano alla memoria quei look e quell’estetica un po’ kitsch dei ruggenti anni ’70 e ’80 che noi nati nel decennio successivo non abbiamo vissuto, ma che abbiamo imparato ad amare.
Se possiamo descrivere la pop culture con un film è impossibile non pensare a Grease. Un’opera che ha segnato una, due, tre, quattro o più generazioni e Olivia Newton-John ha incarnato il volto ed ha assunto il ruolo di icona pop per antonomasia.
Un po’ per il passaparola e un po’ per osmosi culturale, tutti abbiamo visto Grease che, al di là della trama e di quanto – parliamoci chiaro – poco abbia senso l’intera struttura della pellicola, rimane un prodotto multistrato della nostalgia. È riuscito a dare una sorta di sovversione a quel cinema degli anni ’70 che, sulla carta, è un film per adolescenti, ma se lo prendiamo nel 1978 ha un linguaggio molto più volgare e progressista di quanto fosse generalmente consentito all’epoca, nonostante ancora abbastanza igienizzato, ma di controtendenza al politicamente corretto dei giorni nostri.
Dopo quasi quarantacinque anni, non c’è da stupirsi perché Grease è ancora considerato da molti un esempio superlativo del cinema mainstream degli anni ’70. Un’opera che è riuscita a creare intorno alle figure di Sandy e Denny delle presenze così magnetiche che ne comprendo il fascino duraturo nel tempo. Che possiede una colonna sonora che ha attraversato quattro decenni senza perdere charme ed efficacia.
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