Luca Bergia dei Marlene Kuntz: da grande voglio ancora fare il musicista [Intervista]

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In occasione della pubblicazione di MK30 – Best & beautiful, abbiamo incontrato Luca Bergia, storico batterista della band dei Marlene Kuntz, per una lunga intervista riguardo la sua carriera, la sua band del cuore, e l’attualità.

Ciao Luca! E’ un piacere conoscerti. Innanzitutto: come va la mano? Ho saputo del fattaccio. (Luca Bergia si è ammalato di tendinite e purtroppo c’è stato un rinvio delle date estive dei Marlene Kuntz, ndR). Era la prima volta che succedeva in carriera?

No, purtroppo la seconda! Sicuramente non mi ero abbastanza allenato prima di iniziare il tour, ma non nego di essermi abbastanza spaventato. Questo ha fatto sì che il mio tendine si infiammasse, ero psicologicamente a terra, soprattutto per il dover aver spostato le date estive in location così prestigiose in autunno, in locali al chiuso, sicuramente di minor impatto: in più mi dispiaceva per i fan, che avevano acquistato biglietti, alberghi, e così via. Il solo pensiero mi distruggeva! Fortunatamente tutto è guarito ora, il tour va avanti nei club. E devo dire che ne sto apprezzando il fascino.

E’ più intimo?

Sì, assolutamente. Il nostro concerto del tour (qui le date) dei trent’anni è diviso in parte “elettrica” ed acustica. Nella sezione acustica abbiamo riarrangiato i brani che più si prestano a questo stile; nell’elettrico festeggiamo i trent’anni di Ho ucciso Paranoia, brani che hanno fatto la nostra storia! Sono i brani più amati dai nostri fan. Nel finale proponiamo i cavalli di battaglia, una cover e un nostro classico. E devo dire che sta piacendo molto, è un vero e proprio su e giù emotivo.

C’è Nuotando nell’Aria come ending?

Quasi. E’ penultima! Ma non spoileriamo troppo! Devo però ammettere che per noi questa tipologia di concerto è totalemente nuovo, ed è unico per il nostro pubblico. La formula è molto articolata ma soprattutto portiamo dei videowall alle nostre spalle, su cui ci sono interventi di videografica, curati da Bruno D’Elia (in arte mezzacapa), un videomaker bravissimo che ha collaborato con mezza musica italiana. Ha un affascinante ed onirico immaginario che si sposa meravogliosametne con la sezione acustica. Ogni brano ha connesso un suo visual. Nella parte elettrica ci sono rimandi cinematografici – i Marlene Kuntz sono amanti del cinema – curati da Lorenzo Letizia, filmaker che ha avuto l’onere di selezionare clip di film che meglio si sposassero con i brani più impetuosi. Diciamo che l’esperienza del Castello di Vogelod ci ha in qualche modo segnato e fatto avvicinare a Lorenzo (i Marlene Kuntz hanno musicato un film muto, Il Castello di Vogelod, e Claudio Santamaria ne è stato la voce narrante NdR). Il risultato è secondo me strepitoso. Il nostro migliore tour.

Ecco! Già che mi hai nominato Il Castello di Vogelod.. Avevo avuto l’occasione di vederne una data al teatro Ambra Jovinelli a Roma. Voi avete già musicato La Signorina Else, un altro film muto.

Sì, ed abbiamo anche fatto degli esperimenti sui documentari di un regista francese, Jean Painleve, che ha inventato la telecamera subacquea. Parliamo di albori del cinema, quindi vediamo granchi, polpi, pesci, in bianco e nero. E sembrano mostri, la pellicola antica – in bassa definizione – dà un’aria onirica al tutto. Mi ha particolarmente colpito la scena, ex abrupto, di un cavalluccio marino sezionato, con un gran pathos emotivo.

Ci sono altri film muti sui quali vorresti fare la stessa operazione?

PErsonalmente, dopo Murnau, ce ne sono tantissimi che mi andrebbe di musicare. Noi siamo a stretto contatto con il direttore del cinema di Torino, Stefano Boni, che ci seleziona, da bravo cinefilo, le pellicole che pensa che siano più adatte a noi, quelle appena digitalizzate, recuperate, rimasterizzate, credute perdute. Quando abbiamo bisogna di ispirazione, chiediamo a lui.

Il Castello di Vogelod è un classico della filmografia: uno dei pilastri che hanno creato un genere.

Sì, perchè alla fine Nosferatu è una storia su Dracula, il Castello di Vogelod è un vero e proprio thriller dalla trama piuttosto complessa e l’ambientazione gotica. Ci sono cavalieri, nobili,omicidi: una cornice inquietante. E’ stato veramente arduo commentare un lavoro così articolato. Con grande gioia dico che abbiamo vinto per esso il premio per miglior colonna sonora di uno spettacolo teatrale del 2019! C’è stata la premiazione a Napoli. Bel risultato per la nostra prima colonna sonora, no?

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Locandina dell’epoca de Il Castello di Vogelod di Murnau.

Allora! Voi Marlene Kuntz siete più che eclettici. Avete contatti col mondo dell’arte, scritto colonne sonore, musicato film.. E’ questa la chiave per continuare a stimarsi artisticamente dopo trent’anni? Non annoiarsi mai?

Beh, noi siamo molto affiatati. Siamo tutti molto amici, come fratelli.Siamo cresciuti insieme, c’è un legame che va oltre il lavoro. Ciò che continua ad unirci è che siamo persone fondamentalmente intelligenti. Ognuno di noi ha un ruolo, una peculiarità. Cristiano alla comnicazione, Riccardo è il tecnico del gruppo che bada ai suoni, io sono più attento alla burocrazia, agli aspetti contrattuali. Il nostro team si stimola vicendevolmente, è un circolo virtuoso il nostro. Credo che questo sia la nostra forza. Oltretutto, abbiamo gli stessi ideali artistici, che vanno nella stessa direzione.

Ci sono matrimoni che falliscono per il contrario! Volevo chiedervi una mia curiosità. Come avete scelto la scaletta della sezione “rarities” della vostra ultima raccolta? PErchè ci sono Bella Ciao e La Libertà di Gaber proprio in fila, il che è emblematico.

In questa sezione abbiamo scelto situazioni “simili”. Bella Ciao e la Libertà sono entrambi brani sulla libertà, ma non politicizzata, e sono stati per tanto tempo snaturati e strumentalizzati.

Bella Ciao ha avuto un successo incredibile grazie alla Casa di Carta, la serie tv spagnola.

Sì, è vero, ma ho scoperto che anche prima era un brano noto, in varie declinazioni, in tutta Europa. Nelo nostro caso era stato il canto della Resistenza, ma non è così in assoluto. Ha una affascinante storia musicale nel mondo. La Libertà è partecipazione… Paolo Dal Bon, tour manager di Gaber, mi ha raccontato che Gaber si infuriava per le interpretazioni politiche del suo brano, che era solo una riflessione esistenziale: è la possibilità di scegliere, di avere una propria idea, il poter far qualcosa della propria vita che non sia conforme e che ti renda, dunque, libero.

Ti ricordi del vostro EP, Cometa, che avete dedicato interamente al lunghissimo ed avanguardistico brano che ne è la title track? Credi che ora, nella scena rock italiana – se c’è una scena rock italiana – un brano del genere sarebbe capito ed apprezzato?

No. E’ diciamo un po’ post punk, ma il rock ad ora non è proprio il genere seguito dai giovani. Anche nell’indie, ciò che si ascolta è folk addomesticato e pop: indie non significa niente. A livello compositivo, le canzoni pop dell’indie sono esattamente ciò da cui noi, negli anni ’80, scappavamo a gambe levate. Perchè volevamo fare qualcosa di più dirompente possibile. Trovo che ad ora, in generale, ci sia un’attitudine al solo voler far soldi. Questo è il punto di riferimento. Nella scena trap mi viene in mente, in particolare.

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Beh, nella trap quasi sempre si parla di denaro, si canta di denaro, si fanno basi per fare denaro.

Sì, e c’è anche il mondo dei talent. Quello di Carote, mi viene in mente. Quando noi abbiamo iniziato negli anni ’80, se tu salivi sul palco con un Rolex, ti tiravano la verdura addosso. C’era un’attitudine – forse anche troppo ideologica -a non mostrare i simboli del potere. Quando abbiamo iniziato, lo abbiamo fatto chiedendoci: Cos’è che ci piace fare insieme? Eravamo già tutti laureati, sarebbe stato solo un passatempo. Se va male, amen. Inizialmente ci siamo fatti un gran culo, ma dopo cinque anni siamo arrivati a pubblicare il nostro primo album, Catartica, ed avevamo già fatto un numero indefinito di concerti, e, ti assicuro, ben pochi soldi. Quei pochi che sono arrivati li abbiamo reinvestiti in strumenti e soprattutto in un furgone decente per fare i tour! E ti parlo di cento, centoventi date all’anno. Di soldi ne abbiamo visti pochi, e molto, molto, tardi. Tutt’ora facciamo tutti una vita più che normale.Invece qui vedo dei ragazzini – vedo anche i miei figli – che guadagnano tramite i loro follower sui social network, Twitter, Instagram, visualizzaizoni su Youtube. Un ripiegamento di valori che fa paura.

La musica dovrebbe essere arricchimento spirituale e culturale.

E morale. Dovrebbe evadere dal quotidiano, dal concreto, dagli oggetti, dal denaro, dalle cose che non danno benessere esistenziale. La musica dovrebbe accompagnarti nella vita, dovrebbe essere in grado di cambiare il tuo umore, modificare chi sei tu ed il tuo posto nel mondo. O al limite, anche solo la giornata: magari in meglio.

Dato che parliamo di arricchimento culturale, il linguaggio che usano i Marlene Kuntz è elevatissimo: aulico, ricco di stilemi, fonemi, ed un lessico particolare. Ora, finalmente i brani di de Andrè si studiano in letteratura italiana. Credi che anche i vostri lo meriterebbero? Per me sì.

Dovresti chiederlo a Cristiano.

Ma tu, da fuori, cosa ne pensi?

Beh, i testi di Cristiano sono frutto di un lavoro enorme di ispirazione, di ricerca, nel tentativo di evitare banalità e luoghi comuni, rifuggire il già detto. E’ necessario perchè anche il linguaggio nostro si è appiattito dal tempo dei social, e la sua è una battaglia ideologica: magari se ne pentirà, ma lui riesce a fare delle cose che i suoi colleghi non riesco a fare. Inoltre, lui fu il primo a cantare in italiano brani post punk e grunge, dunque in inglese, che ha una metrica totalmente differente, è tronca, usa parole brevi e palatali. Nel nostro processo compositivo, parliamo sempre dalla base; poi Cristiano ci monta dei testi in falso inglese, e, solo successivamente, scrive in italiano un testo che ne abbia la stessa metrica e la stessa efficacia, riuscendo però a dare un senso poetico e compiuto a ciò che dice. Vanno rispettate pausa, accenti, in maniera precisa. L’adattamento deve essere perfetto.
Credo che Lieve, Nuotando nell’aria, e dal nostro ultimo disco, La Lunga Attesa…tutti questi dovrebbero essere studiati, per forma e contenuto. La poesia poi credo abbia degli stilemi particolari, una metrica particolare.

Devo contraddirti. La vostra poesia ha il filtro della musica, ma la poesia antica greca e latina aveva il filtro della metrica strettissimo: anche se dici che ci sono determinati paletti, solo nel ‘900 certi schemi sono stati sdoganati. Secondo me è comunque poesia.

Non sei l’unica a dirlo. Ci scrivono continuamente, per dirlo.

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A proposito di poesie. Nella Tua Luce, vostro album del 2013, permeato di romanticismo. Lo trovi ancora attuale, in questa epoca che è a sua volta permeata di cattiveria?

Sai, nei nostri processi compositivi, una volta terminato un album, abbiamo cercato di dimenticarlo nel comporre il successivo. Seguire una nuvoa direzione. Nella Tua Luce arriva per i Marlene Kuntz dopo Ricoveri Virtuali e Sexy Solitudini (2010), un disco molto aggressivo perchè parlava del pericolo del web (abbiamo precorso i tempi!) e di come la musica ne avrebbe risentito. Omologandosi, appiattendosi. In Nella Tua Luce abbiamo deciso di lasciarci andare, e sono venuti fuori brani come Osja, Nella Tua Luce; Osja in particolare parla di una donna, la moglie di Osip Emil’evic Mandel’štam, che fu mandato in un gulag in Siberia. Lei, perchè le poesie del marito non fossero mai dimenticate, le imparò tutte a memoria. La sua poesia, poi , era una satira molto blanda, ma che Stalin punì con forza. Credo che questa sia una storia di amore viscerale, di come esso possa trascendere gigantesche tragedie. In Adele, poi,c’è la storia di uno stalking. Che, ancora, con i social, è incredibilmente attuale.

Ascolta, in ultima istanza: in un mondo parallelo, come sarebbe stata la tua vita senza i Marlene Kuntz e come credi che fare la vita del musicista professionista ti abbia cambiato?

Non ho idea di come sarei stato! Probabilmente avrei fatto il geologo. Forse avrei insegnato, chi lo sa. Però ho sempre avuto dentro un nucleo creativo. Oltretutto, faccio il lavoro più bello del mondo: sono felice come la prima volta di andare in sala prova, mi sento arricchito ogni giorno di più. Anche coi social, però, suonare occupa sempre meno tempo, ed è molto cambiato da ciò che facevamo all’inizio. Ringrazio comunque il cielo che dopo trent’anni sono arrivato qui, e che da grande voglio ancora suonare con i Marlene Kuntz.

Giulia Della Pelle
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