9 Marzo 2020 di Mariangela Gualtieri: un attimo di calma

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E’ passato, il 9 marzo 2020. In questi giorni convulsi di paure ed angosce, di continue informazioni vomitate da ogni dove, Mariangela Gualtieri rallenta i battiti di una società inorridita con la dolcezza di un pensiero profondo. La poetessa ci dona una piccola ma potentissima riflessione sul limite rischioso a cui l’umanità è giunta e sulla potenza contrastante delle meraviglie che ogni giorno ci lasciamo scappare.

Mariangela Gualtieri accoglie nelle sue parole la necessità di un umanità intera. Ci parla del «desiderio tacito comune» di riflessione, amore, ascolto, vicinanza, silenzio, lavoro intimo ed oscuro. Le sue parole sono cosmiche, piccole e allo stesso tempo smisurate, sibilline e avvolgenti.

Nove marzo duemilaventi

(Voce di Mariangela Gualtieri https://www.doppiozero.com/materiali/nove-marzo-duemilaventi )

Questo ti voglio dire

ci dovevamo fermare.

Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti

ch’era troppo furioso

il nostro fare. Stare dentro le cose.

Tutti fuori di noi.

Agitare ogni ora – farla fruttare.

Ci dovevamo fermare

e non ci riuscivamo.

Andava fatto insieme.

Rallentare la corsa.

Ma non ci riuscivamo.

Non c’era sforzo umano

che ci potesse bloccare.

E poiché questo

era desiderio tacito comune

come un inconscio volere –

forse la specie nostra ha ubbidito

slacciato le catene che tengono blindato

il nostro seme. Aperto

le fessure più segrete

e fatto entrare.

Forse per questo dopo c’è stato un salto

di specie – dal pipistrello a noi.

Qualcosa in noi ha voluto spalancare.

Forse, non so.

Adesso siamo a casa.

È portentoso quello che succede.

E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.

Forse ci sono doni.

Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.

C’è un molto forte richiamo

della specie ora e come specie adesso

deve pensarsi ognuno. Un comune destino

ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.

O tutti quanti o nessuno.

È potente la terra. Viva per davvero.

Io la sento pensante d’un pensiero

che noi non conosciamo.

E quello che succede? Consideriamo

se non sia lei che muove.

Se la legge che tiene ben guidato

l’universo intero, se quanto accade mi chiedo

non sia piena espressione di quella legge

che governa anche noi – proprio come

ogni stella – ogni particella di cosmo.

Se la materia oscura fosse questo

tenersi insieme di tutto in un ardore

di vita, con la spazzina morte che viene

a equilibrare ogni specie.

Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,

guidata. Non siamo noi

che abbiamo fatto il cielo.

Una voce imponente, senza parola

ci dice ora di stare a casa, come bambini

che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,

e non avranno baci, non saranno abbracciati.

Ognuno dentro una frenata

che ci riporta indietro, forse nelle lentezze

delle antiche antenate, delle madri.

Guardare di più il cielo,

tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta

il pane. Guardare bene una faccia. Cantare

piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta

stringere con la mano un’altra mano

sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.

Un organismo solo. Tutta la specie

la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.

A quella stretta

di un palmo col palmo di qualcuno

a quel semplice atto che ci è interdetto ora –

noi torneremo con una comprensione dilatata.

Saremo qui, più attenti credo. Più delicata

la nostra mano starà dentro il fare della vita.

Adesso lo sappiamo quanto è triste

stare lontani un metro.

mariangela gualtieri 9 marzo 2020

Mariangela Gualtieri, autrice di 9 marzo 2020, è nata a Cesena nel 1951. Nel 1983 ha fondato, insieme a Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca. Come poetessa ha esordito con Antenata (Crocetti 1992). Le sue raccolte einaudiane sono: Fuoco centrale e altre poesie per il teatro (2003), Senza polvere senza peso (2006), Bestia di gioia (2010), Le giovani parole (2015), Quando non morivo (2019). Nella collana di teatro di Mariangela Gualtieri: Caino (2011).

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3 commenti su “9 Marzo 2020 di Mariangela Gualtieri: un attimo di calma”

  1. Non è difficile confezionare poesie del genere, basta insufflare un’enfasi patetica nelle parole, gonfiarle di una retorica fanciullesca come fa il mastro vetraio con furbizia artigianale e fingere di raccontare una fiaba dal sapore comunitario a un bambino spaventato. Potrei scriverne dodici in un giorno, ma non lo farei mai perché significherebbe tradire me stesso ovvero il mio stile interiore. Ciò non toglie che la signora Gualtieri, continuando a recitare quello che scrive, potrebbe in futuro persino salire la scala che porta al Nobel. La sua poesia è un volto di cartapesta, le lacrime sono distillate in laboratorio, le rose non più vive.

I commenti sono chiusi.

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