Contrapponendo House of the Rising Sun – inno alla delusione – a Country Roads, Take me Home, gli Oceans of Slumber, con Starlight and Ash, compiono un excursus metaforico sul sogno americano. Starlight and Ash è in uscita per Century Media il 22 luglio 2022.
Gli Oceans of Slumber, come ho spesso ripetuto , sono una delle band più promettenti del metal moderno. La Century Media non se li è fatti scappare, per l’appunto.
Cammie Gilbert, vocalist dalla voce scura, blues, ma squillante all’occorrenza, si rifà allo stile vocale di tante donne di colore che l’hanno preceduta: Aretha Franklin, Billie Holiday – da cui la splendida cover del classico Strange Fruit – e, perché no, anche il pop contemporaneo.
Allo stesso tempo, gli Oceans of Slumber si sono andati ad inserire in uno scenario, quello del prog, che è sì vitale, ma tendenzialmente incancrenito su una serie di pattern stilistici piuttosto noiosi – l’eterna ripetizione dei Rush, dei Dream Theater, o degli Yes. Recuperando, invece, lo spirito originario del genere, gli Oceans of Slumber hanno mescolato atmosfere decadenti, melodic death metal, con strutture di suite lunghe ed articolate, art rock, e frequenti rimandi alla black music. Ecco che nel 2020 esce l’album omonimo, considerato uno dei migliori dai fan e dalla critica.
Starlight and Ash ne è il seguito, e, forse, anche l’evoluzione. Amo come gli Oceans of Slumber, con questo album, abbiano contravvenuto alle regole del fanservice, proponendo, invece di un album più tecnico e pesante, una collezione di brani delicatissimi, emozionali, che si avvicinano più ai lavori degli Swallow the Sun che a quelli dei Ne Obliviscaris. In generale, Starlight and Ash è un album che si fonda sul ritmo, più che sulla melodia in senso stretto; lo scandire del tempo, su cui, poi costruire intelaiature e linee vocale più o meno intrecciate, più o meno dissonanti. Si sfocia nel gothic, quindi, ma un gothic che ha molto d’americano: è oscuro, proviene dai bassifondi ma è cinematografico allo stesso tempo; è suonato e prodotto in modo eccellente, ma non dimentica la sua origine spontanea e naturale. In tal senso, di particolare pregio sono le lyrics: esse, pur utilizzando un linguaggio semplice ed un registro basso, vanno ad ispirarsi a Margaret Burroughs, creando spesso immagini di poesia modernista, da Pound a Kakosi. L’intero Starlight And Ash è, peraltro, un lavoro che usa la forza dell’amarezza come matrice creativa: la delusione – in senso lato – , il vuoto interiore causato dall’abbandono, diviene triste sarcasmo, diviene rabbia, diviene afflizione. Ciò è particolarmente evidente in brani come Heart of Stone e The Lighthouse. Topòs ricorrente è la contrapposizione fra rocce, aride, prive di vita, e il mare: l’enormità del mare, fertile, infinito, luogo di possibilità. Le stelle sono ben visibili dalla spiaggia, rocciosa o sabbiosa, e ci illuminano tutti, senza distinzioni. La religione cristiana, dai connotati quasi superstiziosi e pagani, del sud degli Stati Uniti, è, peraltro, trattata con estremo sarcasmo e dileggio – di nuovo, gli Oceans of Slumber affondano le proprie radici letterarie in una cultura che è distante anni luce da quella europea, sebbene così simile.
A bitter life
A flickering life
Filled with starlight
Laddove i brani di Oceans of Slumber e dello splendido The Banished Heart erano, più o meno, tutti simili, Starlight and Ash si configura invece come un’ensemble di differenti ispirazioni musicali tenute insieme, per l’appunto, dalla voce della Gilbert e dall’amarezza: passiamo quindi dal melodic death metal della opening The Waters Rising, al bluegrass – chiaramente ritmato, tamburi disperati in lontananza – di The Lighthouse, uno dei brani migliori mai composti dalla band, assieme ad A To The Sea. Red Forest Roads è una decostruita Take Me Home, Country Roads di John Denver: scava nell’afflizione di un lutto, o della fine di un amore, con solo sottofondo di pad atmosferici, chitarra lieve e batteria – una ballad d’amore deluso. The Hanging Tree – no, non il brano da Hunger Games – si lascia andare alla reminiscenza, al ricordo confuso, quasi dream rock, recuperando eppure riff e soluzioni stilistiche del gothic degli anni ’90 – The Cure, perfino i primissimi album dei conterranei Evanescence. La struttura del brano è però inusuale, con frequenti cambi d’accordo e raffinatissima linea vocale.
Salvation segna una sorta di linea di demarcazione all’interno della mitologia di Starlight and Ash: l’atmosfera texana, di frontiera, dell’album, viene qui completamente abbracciata e, allo stesso tempo, nel messaggio contenuto nel testo, rimpianta; il viaggiatore, ora, sente tremendamente la mancanza della polvere del suo paese, del suo antico e triste fiume, della luce delle stelle – perfino delle elegie noiose del Pastore. Salvation diviene un triste lounge da bar di motel, ancora hollywoodiana ed evocativa.
The trees have bended branches
The harsh winds have shaped them so
They embrace this hanging man l am
Take me south, take me home
Where the Shepherd makes his home each evening
And the Trinity River flows
Beast of the southern river
Beast of the southern wild
Unico brano realmente “heavy” di Starlight and Ash è Star Altar, che, assieme a the Lightouse, è uno dei più belli. Con un gran lavoro di costruzione ritmica da parte di basso e batteria, Star Altar è in realtà un gospel mascherato: parla del serpente dell’infero, tentatore, che abita nei bassifondi degli Stati Uniti del sud. La voce della Gilbert è fortemente lavorata sul finale del brano, e l’eco sviluppa un sentore quasi orrorifico del brano.
Spring of ’21 è un brano piano-solo che, assomigliando ad un notturno di Chopin, è in realtà fortemente moderno e narrativo; sarà forse riferito alla rivoluzione russa? O al secondo anno di pandemia, nella primavera del 2021? Just a Day, poi, rimane una ballata piano-driven, è la fine di una vita di provincia: illusioni deluse, enumerazione di motivi d’amarezza, sotto quel cielo punteggiato di stelle, e in quell’aria dove la polvere ti entra nei polmoni. Amori mai ottenuti, successi che non ci si è neppure mai concessi di sognare: il tutto esplode nel melodic death metal che è firma degli Oceans of Slumber, più l’aggiunta di effetti orchestrali a là My Dying Bride.
In tutto ciò, la cover di The House of the Rising Sun si inserisce perfettamente. La voce melodiosa della Gilbert interpreta magistralmente la delusione della piccola, triste, povera, provincia americana e dei bassifondi di New Orleans: il crollo, lento e catastrofico, del sogno americano di tanti immigrati, affogati nei canali sporchi; divenire prostitute sifilitiche, ladruncoli tubercolosi, reietti. Ancora, l’amarezza è sovrana. È forza trainante della creazione artistica.
The Shipbuilder’s Song chiude Starlight and Ash, notevole ballad prog rock, gioca sul parallelismo fra i viaggiatori d’America – i sognatori, d’America – e gli esploratori scomparsi fra i flutti. I pochi che sono riusciti a trovare nuove terre, dall’alto del Paradiso, scherniscono i relitti di uomini che ancora strepitano nei vicoli, legati alla terra ferma, incapaci sia di ambire alle stelle, sia di emanciparsi dalla polvere.
Their faith now long forgotten
In the toil of this harsh land
Their dreams lay lost and buried
Under the rocks and sand
Starlight and Ash è un pregevole lavoro dal punto di vista musicale, in quanto gli Oceans of Slumber, rimanendo fedeli alle proprie anime, hanno creato un proprio stile: una firma ben riconoscibile. Accessibili a chiunque, anche non appassionato di prog, e, allo stesso tempo, capaci di proporre un prog-art-metal che è unico, ad ora. Dal punto di vista concettuale, poi, l’album è una vera e propria dissezione dell’amarezza, della fine del sogno. Una pastorale americana.
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