Era novembre del 2016 quando, con un post su Instagram, il cantautore romano Alessandro Mannarino annunciava quella che sarebbe stata una piacevole sorpresa per i fan: un nuovo album, “Apriti Cielo”, pubblicato ufficialmente il 13 gennaio 2017.
A due giorni da tale comunicazione uscì l’omonimo singolo che subito scalò la Viral50 di Spotify. Pochi giorni dopo il suo esordio a gennaio, “Apriti cielo” era già l’album più venduto della settimana. Un climax ascendente di successi, che culmina con un meritato disco d’oro a luglio del 2017 ed un’enorme affluenza nelle varie date del tour.
Un sound complessivamente fresco, vitale ed in parte anche contenutisticamente diverso dallo stile peculiare dei suoi lavori precedenti
“Apriti cielo” è una vera e propria metafora di un percorso di Mannarino, sia a livello interiore che esteriore. Ad essere esemplare non è solo l’album in sé per sé ma anche la storia dietro di esso; quella di un cammino, fatto di ricerche per le quali sono stati centrali i viaggi compiuti dal cantante in Sud America. Queste esperienze sono state l’occasione per calarsi in prima persona nei concetti umanitari trattati nel disco ed analizzarli.
I nove brani contenuti in questo album riflettono una certa vitalità, la ricerca di un qualcosa di diverso per la propria vita che arrivi a mettere in discussione anche le proprie certezze ed i propri valori
Mannarino delinea la sua risposta alla tristezza con una vera e propria spinta positiva ed un’apertura generale nei confronti dell’umanità, come simboleggiato dal collage di bandiere che figurano sulla copertina di “Apriti cielo”; bandiere a stralci, sinonimi di un rifiuto per il concetto di nazione e celebranti l’ideale comunitario nel suo stato più puro.
Il cambiamento della scrittura di Mannarino è ben visibile nella sua stessa discografia, se la si segue cronologicamente
Dal sentimento di ribellione insito in “Bar della Rabbia” si passa, con “Apriti cielo”, ad un’atmosfera pacifista e possibilmente più matura, fondata sulla leggerezza. È un particolare caso in cui potremmo attribuire un’aura positiva all’abbandono: quello verso l’attaccamento alla volontà di non essere come gli altri per mero spirito di anticonformismo forzato, dettato da un’insoddisfazione intrinseca che, tramutata in rabbia, finisce per far male a sé stessi ancor prima che agli altri.
Ed è bene rimarcare la profondità di un capolavoro come “Apriti cielo” soprattutto in un’epoca come la nostra, arsa dall’odio gratuito e bisognosa più che mai di lezioni di empatia.
Articolo a cura di Giulia Di Persio
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