Dopo molteplici rimandi di data il 7 Agosto 2020 vedrà la vita Whoosh! (earMusic), ventunesimo album in studio di quei mastodonti della storia musicale chiamati Deep Purple. Quintetto tra i più emblematici ed influenti della musica rock mondiale, quello formato da Ian Gillan, Steve Morse, Roger Glover, Ian Paicey e Don Airey non sembra voler accennare a fermarsi nonostante i molti anni di carriera ormai alle spalle
Di fatto, anche se la formazione ha subito spesso e volentieri avvicendamenti e sostituzioni nel passare del tempo (vedasi le tastiere di Airey, presenti nel profondo viola solo dal 2002), quella dei Deep Purple è una carriera che va avanti, ormai, da cinquantadue anni costituendo un vero e proprio “brand” nel campo della musica rock.
Cosa dire, quindi, della ventunesima fatica di questi “vegliardi” maestri della musica?
Non è mai facile confrontarsi con band di questo calibro. Da un lato non si vuole rischiare ipostatizzare il loro lavoro come universalmente positivo solo in onore della loro grande carriera. Dall’altro è facile farsi prendere dalla “smania” di criticare. Più è grossa la preda, più è allettante la caccia e, diciamocelo, quella di sparare su questo bisontone corpulento e viola è una tentazione che verrebbe a chiunque non sia un fan accanito.
Una tentazione che, un poco alla Lionel Messi, dribblerò con (spero) maestria. Parlando di Whoosh! infatti, ci ritroviamo di fronte ad un album che tanto sarebbe meschino demolire quanto esagerato e sbagliato omaggiare. Un album di buona musica eseguito da maestri del genere e dello strumento ma che, appunto, non va oltre il compito ben eseguito.
E’ già abbastanza stupefacente che da ormai pluriottantenni i Deep Purple siano in grado di avere l’ispirazione utile a ritornare sulle scene con una certa costanza sfornando, tra l’altro, dei lavori qualitativamente buoni
La grandezza musicale dei Deep Purple è proprio individuabile nella loro capacità di continuare a produrre della buona musica nonostante l’avvicendarsi del tempo, lo scorrere dell’orologio e, soprattutto, l’invecchiamento degli esecutori e del genere.
Con Whoosh! ci ritroviamo di fronte ad un buon album Hard Rock che, come sottolineato dai membri, tanto grazie alla continuazione della collaborazione con il produttore Bob Ezrin, già presente in Now What? (2013) e inFinite (2017), quanto ad una rinnovata voglia di “divertirsi”, riesce ad aprirsi anche a nuove influenze dando vita ad un prodotto che, scolpito nell’ormai classica forma Deep Purple, riesce a cedere ad un, seppur timido, intento di contaminazione ed esplorazione.
Alle ben più classiche Throw My Bones, Drop the Weapon e And The Address troviamo infatti accostata la progressive e baroccheggiante Nothing at All che, con le sue linee di chitarra e tastiera ricorda palesemente il progressive anni 70. O, ancora, pezzi dove l’introduzione di elementi più atmosferici ed un taglio schiettamente “dark” portano ad esecuzioni ipnotiche in grado di fuoriuscire dal tipico sound “frizzantino” tipico del complesso come, ad esempio, Step By Step e The Power of the Moon, pezzi in grado di regalare dei Deep Purple sotto una veste piuttosto interessante. Altra prova di accattivante è una Man Alive che, con le sue reminiscenze alla musica psichedelica dei Pink Floyd, è probabilmente uno degli episodi più interessanti dell’album.
Whoosh! non è però scevro di episodi più “anonimi” come la ben eseguita ma non memorabile What the What il cui più grandi difetto è la sua caratteristica principale, ovvero quel sound rock a billy anni 50 che, inflazionatissimo nel tempo e nella storia, ormai non ha più niente da dare se non pezzi che suoneranno come un bel “copy/paste”.
Si sente, però, che gli ottanta (e non parlo dell’epoca, ma dell’età) sono un dato di fatto non poco influente nella produzione artistica dei Deep Purple
Ian Gillan fa il suo ma, complice l’età, non stravolge e non può farlo mancando del classico carisma a cui ci aveva abituato. Un carisma che è piuttosto assente, in realtà, nell’intero album. Di fatto, tra pezzi ben eseguiti, timidi tentativi di immissione di nuovi sound e fedeli ricalchi di quello stile classico a cui siamo abituati, anzi, inflazionati, non riescono ad emergere episodi degni dei fasti del passato, pezzi da novanta, esecuzioni da “best of”. Tante buone canzoni in un album che, nel complesso, più che stupire o introdurre nuove vette non fa altro che confermare quanto i Deep Purple sappiano fare buona musica anche senza essere raggiunti da grandissima ispirazione o da una spiccata voglia di “aggiornarsi” (cosa che a una band con 52 anni di ottima carriera alle spalle mai mi sognerei di chiedere).
Whoosh!…quel suono onomatopeico che, nell’intento dei Deep Purple, va a rappresentare l’improvviso scorrere del tempo o, più gravemente, il decadere rapido dell’umanità
Un decadimento portato in rilievo dai membri della band in un concept che attraversa tematiche sociali e ambientali mostrando ancora una lodevole voglia di dire “la propria” anche nel momento in cui, purtroppo, il futuro “è sempre meno loro”.
Nonostante l’interessante messaggio (tematica ormai molto presente nel panorama musicale contemporaneo), ascoltando Whoosh! è una sola la domanda che mi sorge spontanea: ne avevamo bisogno? Sicuramente lo zoccolo più duro dei fan sarà ben contento di ritrovarsi di fronte all’ennesima buona produzione del profondo viola, come sicuramente saranno stati contenti gli stessi Deep Purple di tornare a divertirsi facendo quello per cui hanno sempre vissuto: della buona musica.
Però, nonostante i suoi pregi, le contaminazioni ed alcune idee interessanti, Whoosh! è senza ombra di dubbio un album “tremendamente anacronistico” e che, di nuovo, non regala praticamente nulla. Abbandonando la revisione musicale oggettiva e concedendomi (anche se non dovrei) un parere più personale, non ho mai avuto particolare simpatia nei confronti delle nuove produzioni di chi ha già fatto, e a lungo, la storia.
Sarebbe forse il caso di lasciare lo spazio a chi ha qualcosa di più da dire, magari facendo progredire il genere?
Sarebbe forse il caso di sfruttare la propria grande notorietà per deviare l’attenzione su quei nuovi musicisti che, aggiornandosi con i canoni del ventunesimo secolo, tentano di dare un futuro e nuova linfa vitale ad un mondo musicale (quello rock e metal) che schiacciato dai nuovi mercati e dalla disattenzione mediatica è sempre più impervio e asfittico?
Lo stesso Paice ha dichiarato, candidamente, l’importanza di supportare le piccole scene live locali, per consentire ai nuovi musicisti di andare avanti e, alla musica, di progredire. Mi chiedo, però, se in un periodo di così grande mancanza di attenzione verso “il nuovo” non sia allo stesso tempo controproducente che chi ha già fatto (ottimamente) la storia continui a deviare l’attenzione del pubblico, in particolare se senza ormai più nulla di particolare da dire almeno sul piano musicale.
Chiudendo la riflessione personale e gettandomi nelle conclusioni, come già detto Whoosh! è senza più e senza meno “un album dei Deep Purple”. Un buon album cosparso di buona musica che patisce, però, la sua veste tremendamente “anacronistica” e ancora vintage nonostante i tentativi, evidenti ma timidi, di introdurre qualcosa di nuovo a territori già ampiamente battuti in passato.
Un album che non dice nulla di nuovo confermando, però, le capacità di chi già da anni viene meritatamente osannato. Un lavoro che sarà in grado di essere apprezzato dagli amanti dell’hard rock senza, però, riuscire a stupire come i fasti del passato.
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