Era il 10 settembre del 2009 quando squillò il telefono di casa e dall’altra parte della cornetta rispose un cordiale, loquace e disponibile Steve Lee. In quei giorni il compianto frontman dei Gotthard era in piena fase promozionale del nuovo album ‘Need To Believe’ e di quella piacevole chiacchierata ho estrapolato dei passaggi che vorrei condividere con voi:
“Bello sentire questo perché era proprio voluto. Noi Gotthard da qualche disco abbiamo provato degli esperimenti, quelle cose che si fanno in studio di registrazione, ma a volte si rischia di fare cose complicate da riprodurre in concerto, come ad esempio ci successe per ‘Human Zoo’. È un bel disco ma per riprodurlo dal vivo necessitano delle basi elettroniche, che spesso complicano un po’ la vita. Noi ci siamo visti da sempre come una band live, che attacca la spina e suona.”
“Dobbiamo essere realisti, il mercato statunitense è molto difficile da conquistare. Se addirittura un artista come Robbie Williams, che è una star internazionale, fa fatica a raccogliere consensi, noi dobbiamo mantenere i piedi per terra. Stento a credere che gli americani siano in attesa di vedere una band svizzera, che possa insegnare a loro suonare rock. Gli USA rimangono un sogno, ma ci sono ancora tanti paesi da poter conquistare, dopo tutto nonostante avessimo una major nei primi anni, il supporto per noi fu praticamente nullo.”
“Credo di sì. Si crea uno spazio più intimo con il pubblico, si fa qualche battuta, si ha modo di interagire in modo informale con le persone che ti stanno guardando. Mi piace molto questa dimensione, la trovo più leggera ma allo stesso tempo il concerto diventa più dinamico. In questi giorni stiamo preparando diverse scalette, in modo tale da non suonare sempre le stesse cose, ed anche per dare la possibilità a chi ci segue per più concerti di non avere l’effetto deja vu.”
Era il 5 ottobre del 2010 quando la sfortuna si accanì su Steve Lee dei Gotthard.
Sono trascorsi dieci anni dalla sua scomparsa ma il pubblico non lo ha di certo dimenticato. Nel frattempo la band svizzera ha aperto un nuovo capitolo della sua storia registrando nuovi album ma, evidentemente, per il gruppo svizzero è giunto il momento di fermarsi un attimo. Di mettere un punto a capo della propria carriera e guardarsi indietro. Il modo migliore è quello di ricordare l’indimenticato amico, al quale è dedicata la raccolta ‘The Eyes Of A Tiger’. Una selezione di brani che mette in mostra tutto il talento vocale di Lee, dalla voce potente e graffiante sulle tracce più corpose e toste (‘In The Name’, ‘Hush’ e ‘Lift U Up’), mentre nelle ballad (‘One Life One Soul’, ‘Heaven’, ‘Lonely People’, ‘First Time In A Long Time’ e ‘The Train’) emerge una voce tinta di blues, piena di colori e passione. Una raccolta equilibrata che tocca un po’ tutti gli album del primo e più importante periodo con Steve Lee: un’istantanea dolorosa ma anche e, soprattutto, un tributo doveroso verso l’uomo e l’artista. Il dischetto si chiude con due versione differenti del celeberrimo brano portato al successo dai Survivor, che Lee canta ed interpreta come solo i grandi sanno fare.
Stefano Giacometti
- 01. One Life One Soul
- 02. Let It Be
- 03. In The Name
- 04. Lonely People
- 05. Heaven
- 06. Need To Believe
- 07. Lift U Up
- 08. Hush
- 09. First Time In A Long Time
- 10. Tarot Woman
- 11. And Then Goodbye
- 12. The Train
- 13. Eye Of The Tiger
- 14. Eye Of The Tiger (Electric Version)
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