Un Sergio Leone è per sempre: C’era una volta in America

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Sergio Leone, uno degli uomini più importanti della storia del Cinema, è stato più di un regista: la sua visione filmica è quella dei grandi precursori dell’arte nella sua totalità. Vedere un film del regista romano è come ammirare un dipinto di Caravaggio, come ascoltare The Dark Side of the Moon, come leggere Gabriel Garcìa Marquez.

I film di Leone più famosi e più riconoscibili a livello mondiale sono, essenzialmente, quelli che compongono la cosiddetta “Trilogia del Dollaro”: Per un pugno di dollari (1964), Per Qualche Dollaro in più (1965) e Il Buono, il Brutto e il Cattivo (1966).

Il Western è stato il genere che più di tutti ha aiutato Sergio Leone ad espandere il suo talento: anche, e soprattutto, con C’era una volta il West (1968) il regista è riuscito a diffondere un’idea diversa al Cinema, che fino ad allora aveva etichettato il Western come un argomento esclusivo dei registi americani.

Tuttavia il lungometraggio che ha reso Sergio Leone uno dei pilastri del Cinema mondiale è un film completamente diverso dall’idea che si era creata nei confronti del regista romano: il film in questione è C’era una volta in America.

L’opera ultima di Leone, uscita nelle sale di proiezione nel 1984, è un racconto di formazione, un Gangster Movie dai toni epici, dove lo spettatore immagina di diventare un tassello del puzzle della storia. La vicenda racconta la vita di Noodles (un Robert De Niro onirico per quanto magico), un ragazzo di strada del ghetto ebraico di New York.

Attraverso continui salti temporali, passando dal periodo della gioventù al periodo adulto, lo spettatore segue le gesta del protagonista e dei suoi amici d’infanzia, decisi ad abbandonare la povertà verso una vita piena di opportunità.

Inizialmente snobbato dal grande pubblico, il film non riesce a sbancare i botteghini delle sale nonostante la presenza di attori già famosi (al contrario di molti film di Leone che hanno invece lanciato la carriera di alcuni di loro, come con Clint Eastwood per esempio).

Fortunatamente per l’opera, la critica si accorge subito della sua magnificenza, collocandola sin da subito nel gruppo dei migliori film di sempre. Anche Gian Piero Brunetta, uno dei più grandi critici cinematografici di sempre, definirà questo film come “come in un gioco di scatole cinesi, diventa un sogno di sogni”.

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I protagonisti di C’era una volta in America in una scena del film (1984)

La grandezza del film è proprio nel realismo della Storia: come ogni racconto di formazione, anche C’era una volta in America è sviluppato sulle fasi che ogni persona, chi in un modo o chi nell’altro, è stato, è e sarà destinato a passare: amicizie, perdite, amori, sogni perduti, realizzazione di obiettivi.

Cronologicamente il film segue una linea che parte nel 1920, anno della formazione del gruppo di Noodles, per poi passare al 1933, in pieno periodo di Proibizionismo americano, per poi concludere la storia nel 1968. Come fatto anche, seppur relativamente, in C’era una volta il West, Sergio Leone decide di spingere molto sull’idea dell’importanza del flash-back, che si rivelerà uno strumento di grande importanza per la comprensione della vicenda.

Dal punto di vista tecnico-stilistico, il maestro romano si è divertito utilizzando il montaggio della pellicola, prediligendo questo come strumento per i vari passaggi cronologici. Un esempio classico, ma che non passa mai di moda, è la scena che allaccia l’ultima fase cronologica alla prima.

Noodles spia la coetanea Debora, una delle scene migliori di C’era una volta in America.

In questi frame lo spettatore diventa, per un momento, niente meno che Noodles stesso: l’uomo, ormai anziano, entra dentro un bagno e si mette a vedere oltre uno spiraglio. In questo preciso momento scattano nella sua mente dei ricordi, che vedono protagonista una ragazza, Deborah (una giovane Jennifer Connelly) intenta a provare dei balletti di danza.

Come in Il Buono, il Brutto e il Cattivo, Leone ha messo in risalto gli occhi dei protagonisti: questi riescono a rendere tutto più reale e nostalgico, momenti così vicini e così distante allo stesso tempo. D’altro canto, per citare un classico detto, “anche l’occhio vuole la sua parte”.

Una particolarità eccezionale dei film di Sergio Leone è la struggente bellezza della colonna sonora: in tutti i film del regista romano la totalità della musica è affidata alle doti di Ennio Morricone, simbolo anche lui della cinematografia italiana. Sfido chiunque a non aver mai canticchiato o fischiato una delle soundtrack degli Spaghetti-Western.

Con Morricone la colonna sonora raggiunge un nuovo grado di partecipazione alla realizzazione di un film. Pochi altri registi hanno avuto la geniale idea di fondere così fortemente la loro opera con la musica; il primo che mi viene in mente è sicuramente Alfred Hitchcock con Psycho, tuttavia anche il maestro della suspence non può nulla di fronte al binomio Leone-Morricone.

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Sergio Leone in compagnia di Ennio Morricone, nell’anno di uscita di C’era una volta in America.

I due simboli di un’Italia volta al cambiamento si sono amalgamati fra loro, creando una delle collaborazioni più incredibili della storia del Cinema. Insieme a Tonino Delli Colli (lo storico direttore della fotografia di Leone), Morricone è diventato, al pari del ben più riconosciuto regista, uno degli artefici del capolavoro chiamato C’era una volta in America.

Le musiche che accompagnano Noodles e i suoi amici per le strade di New York rappresentano a pieno il sentimento di quella scena, confermando la completezza artistica del film di Leone. È come se si aprisse un cerchio al principio di ogni singolo momento: grazie alla regia, grazie alla sceneggiatura e grazie alla colonna sonora, tutti noi possiamo entrare in quello straordinario loop temporale che è C’era una volta in America.

Luca Bernardini
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