Ha urlato diritti ad un’Italia sorda. Ha sbattuto in faccia la verità ad un Paese cieco. Ha restituito l’anima ad una popolazione arida. Ha dato voce a chi non l’aveva.
Franca Rame, prima che una splendida artista, era un’attivista ed una donna coraggiosa. Il monologo sullo stupro, subito il 9 marzo 1973, recitato in diretta televisiva davanti a milioni di telespettatori, portò alla luce il tema della violenza sulle donne.
Aveva osato dare la sua voce all’Organizzazione Soccorso Rosso, si era esposta sul caso Pinelli e aveva trainato il movimento femminista negli anni Settanta. Per questo doveva essere “punita”. Per questo alcuni ufficiali dei Carabinieri decisero che Franca Rame doveva stare al suo posto. E allora cinque esponenti dell’estrema destra la fecero salire su un camioncino, le spaccarono gli occhiali, le tagliarono viso e corpo con una lametta, le bruciarono la pelle con le sigarette e la violentarono a turno. Punita con il più brutale dei crimini.
Ma Franca Rame non stette zitta e decise di ribellarsi, raccontando pubblicamente la sua storia in un monologo agghiacciante chiamato “Lo Stupro”.
Una verità scomoda e dolorosa, narrata con una straordinaria forza interiore e con estrema dignità. Quasi otto minuti di dettagli chirurgici e sensazioni soffocanti, che negli anni Ottanta l’attrice portò in televisione. Alla perbenista e democristiana RAI toccò il compito di ospitare la determinazione di una donna che non si arrende.
«Il puzzo della lana bruciata deve disturbare i quattro: con una lametta mi tagliano il golf, davanti, per il lungo… mi tagliano anche il reggiseno… mi tagliano anche la pelle in superficie. Nella perizia medica misureranno ventun centimetri. Quello che mi sta tra le gambe, in ginocchio, mi prende i seni a piene mani, le sento gelide sopra le bruciature… Ora… mi aprono la cerniera dei pantaloni e tutti si danno da fare per spogliarmi: una scarpa sola, una gamba sola. Quello che mi tiene da dietro si sta eccitando, sento che si struscia contro la mia schiena. Ora quello che mi sta tra le gambe mi entra dentro. Mi viene da vomitare.»
Milioni di persone rimasero basite, in quegli anni la violenza sessuale era uno dei temi tabù: non si parlava, figuriamoci se si denunciava. Inizialmente, Franca Rame aveva detto di essere stata ispirata al racconto di una testimonianza letta su Quotidiano Donna e solo nel 1987 – anno in cui Celentano la chiamò a Fantastico per recitare il monologo – dichiara che il suo monologo ripropone quanto subito la sera del 1973.
Il testo non denuncia solo gli animali che l’avevano sottoposta a quella tortura, ma anche le istituzioni che avrebbero dovuto proteggerla e invece l’hanno ridicolizzata. “Li denuncerò… domani”. Così si conclude. Facendo emergere un timore incondizionato della vittima. Tanto che nel monologo l’attrice riporta le parole che alcuni poliziotti, avvocati e medici erano soliti rivolgere alle donne che avevano subito uno stupro: «Lei ha goduto? Ha raggiunto l’orgasmo? Se sì, quante volte?». Un atteggiamento squallido e colpevolizzante, in un epoca in cui la violenza carnale era considerata un crimine contro la morale e non contro la persona.
Per quello stupro non ci fu nessuna condanna, ma solo una prescrizione. Questo nonostante che, anni dopo, un pentito fece nomi e cognomi dei responsabili del crimine. Rendendo noto che quello fu un atto politico progettato ad arte da alcune parti deviate ed estremiste dello Stato.
Franca Rame ha pagato per le sue idee – e per quelle del marito e compagno di scena Dario Fo – e per essere una donna. Ma ne è uscita da donna libera e coraggiosa, nonostante tutto.
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