Una pagina bianca. Un menestrello assente da troppo tempo.
E’ difficile parlare di qualcuno che non hai mai conosciuto. Un po’ meno difficile se quel qualcuno è il cantastorie che ti ha accompagnato per tutta la vita. Perché, per me, raccontare Rino Gaetano non è come parlare di un cantante qualsiasi, ma è rivelare parti di me, è autoanalizzarmi, è manifestare apertamente che il mio spirito musicale appartiene a chi ha saputo raccontare, più di chiunque altro, gli eventi socio-culturali del nostro paese.
Una ragazza che non è arrivata in tempo per conoscere quel menestrello dissidente che ha riempito le pagine dei suoi primi ventotto anni di vita, che ha colmato ogni vuoto e ha dato voce a silenzi, a volte, troppo rumorosi. Mi vedo così, mentre mi trovo davanti questa pagina bianca che devo farcire di parole e ricordi su Rino Gaetano.
Un poeta geniale, sui generis, di quelli che ne nascono una volta ogni cento anni, facciamo centocinquanta. Originale sotto ogni punto di vista, sia musicale che, soprattutto, letterale. Un paroliere abile nel superare e reinventare il linguaggio comune. I suoi testi sono intrisi di audacia estrosità con uno stile meravigliosamente attuale, capaci di raccontare verità amare e coadiuvare la denuncia sociale alla leggerezza scanzonata, trattati con graffiante e sagace ironia.
Per tutti – o quasi – era un cantastorie nonsense, per alcuni demenziale. Ma Rino era un unicum nel suo genere, perché non era come gli altri cantautori degli anni Settanta e Ottanta e Novanta e del nuovo millennio. Lui non apparteneva a nessuna “scuola” cantautorale (cantautori d’amore e cantautore impegnati), creando – da solo – un terzo filone parallelo.
Un genio musicale troppo spesso incompreso, abile nell’abbracciare e capire le ansie e le paure delle classi sociali meno abbienti, raccontando una società italiana corrotta, pregna di vizi e pregiudizi. Quella stessa società che, a distanza di quarant’anni, ritroviamo ancora con le stesse problematiche, come se il tempo si fosse fermato a quel maledetto 2 giugno 1981.
Questo dimostra quanto Rino Gaetano sia ancora oggi attuale, perché aveva la prontezza e la creatività di dare una logica potentissima – a volte non immediata e non riconoscibile – alle sue parole. Per questo motivo non è assolutamente classificabile come “autore scanzonato”, ma un cantastorie intelligente e anticonformista, capace di smuovere le coscienze e gli animi attraverso una ritmica disimpegnata, tant’è vero che la sua operazione culturale fu colpita più volte dalla censura.
L’ironia amara della sua morte: Rino Gaetano, nell’olimpo dei giganti
La continua ricerca della verità e l’ostinata denuncia sociale lo tennero sempre legato alle proprie origini di emigrato calabrese, dalle quali non si distaccò mai, nonostante passò a Roma la sua intera esistenza. Proprio nella Capitale morì in un tragico incidente stradale, a soli 30 anni, dopo essere stato rifiutato da ben cinque ospedali.
Ma la cosa più inquietante è che Rino Gaetano descrisse, esattamente undici anni prima, in una canzone – che pochi eletti sapevano della sua esistenza – la tragica fine di un uomo che fu mandato via da tre ospedali, dopo aver avuto un incidente. Tra l’altro, ironia della sorte, quelle tre strutture sanitarie cantante in La Ballata di Renzo non lo accettarono.
La canzone parla proprio di un giovane ragazzo – Renzo – che una notte è vittima di un incidente stradale ed il soccorritore lo porta in tre ospedali diversi – il San Camillo, il San Giovanni e il Policlinico – per tentare di salvargli la vita, ma tutti e tre, per svariati motivi raccontati nella canzone, si rifiutano di ricoverarlo. All’alba, a causa delle cure che gli sono venute meno, Renzo muore.
Ovviamente, Rino Gaetano voleva denunciare la malasanità – buffo il fatto che ne parlava negli anni Settanta e a distanza di cinquant’anni le cose non sono cambiate, o per lo meno, non lo sono del tutto – ma quello che non sapeva che a lui sarebbe spettato lo stesso destino di Renzo, come una sorta di profezia su se stesso.
Era la notte tra il 1° e 2 giugno 1981 quando il cantautore sbanda con la sua automobile mentre percorreva la strada capitolina Nomentana. Probabilmente un malore lo ha portato ad invadere la corsia opposta, scontrandosi con un camion che stava arrivando. Da questo momento in poi inizia la stessa storia che cantava: nessuna ambulanza arrivò sul posto e nessun ospedale accettò il suo ricovero, eppure aveva sbattuto la testa ed il torace. Furono contattati cinque ospedali, tra cui quei tre cantati nel brano. Proprio perché Rino non riuscì a trovare un ospedale che lo curasse, morì.
Certo, è sicuramente un evento curiosamente amaro, una coincidenza raccapricciante. Tuttavia, negli anni si è parlato tanto della morte di Rino Gaetano, alcuni sostengono che sia stato ucciso da una massoneria deviata, la “Rosa Rossa”, e che questi abbiano bramato per fargli fare la stessa fina di Renzo perché molti credevano che il cantautore mandasse dei messaggi in bottiglia al pubblico che lo ascoltava e che denunciava tale organizzazione.
Sugli eventi della morte molto si è detto e, sicuramente, molto ancora si continuerà a dire. Tuttavia, quello che ci interessa è la sua eredità artistica, un patrimonio che comprende canzoni vive e ineguagliabili, frutto della personalità complessa e fuori dagli schemi, capace di raccontare i difetti degli italiani con sarcasmo ed intelligenza.
Per me il 2 giugno non sarà mai “solo” la Festa della Repubblica.
Caro Rino, sono quarant’anni che il cielo è meno blu.
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