Descritto come un capolavoro dalla stragrande maggioranza dei media di settore mondiali. Meritevole di un inedito voto di 10/10 assegnato da Pitchfork, il nuovo album di Fiona Apple, Fetch The Bolt Cutters, sembra aver scosso in profondità le fondamenta del mondo musicale.
Un fenomeno descritto come unico, inedito, additato a capolavoro. Insomma, i presupposti sembrano i migliori possibili. Avvicinarsi ad un album simile con un tale unitario plauso di critica stimola due reazioni contrastanti. La prima, lo sviluppo di aspettative altissime per un’opera sensazionale. La seconda, il timore di un’allucinazione generale. La verità, probabilmente, anche questa volta è nel mezzo, ma non nel modo che potreste pensare.
Con Fetch The Bolt Cutters, pubblicato lo scorso 17 aprile sotto l’egida della Epic Records, Fiona Apple torna dopo un silenzio durato ben otto anni. Un ritorno in sordina, privo di grandi pubblicità, sponsorizzazioni o anteprime. Un ritorno coraggioso dove ritroviamo una cantautrice decisa ad afferrare le “cesoie” per tagliare con il suo passato (personale e musicale) propone un lavoro levigato nella sua “rozzezza”, presentando un prodotto finale musicalmente di ottima fattura. Non, però, un capolavoro.
All’ennesimo ascolto fatico sinceramente a capire cosa abbia stimolato così tanto stupore in quella critica che, troppo spesso, tende ad assumere posizioni estreme, e non per demerito dell’artista, anzi
Parliamoci chiaro, di musica di livello come quella di Fetch the Bolt Cutters ne ho ascoltata molta e, spesso, su base giornaliera. Mi chiedo, quindi, gli addetti ai lavori da quale delle lune di Giove arrivino (coraggiosi cosmonauti).
Si sa, il bisogno della creazione di feticci, in positivo e in negativo, è ciò che spesso più di ogni altra cosa pilota l’opinione pubblica, dando vita talvolta a grandi eroi, altre a supercattivi degni dei migliori fumetti. A Fiona Apple, in questo caso, va la nomina di eroina. Difficile, in fondo, tentare di volgere il suo operato in negativo.
Di fatto con Fetch the Bolt Cutters ci ritroviamo di fronte ad un pezzo di musica estremamente pregiato e…singolare
Come già anticipato, la cantautrice trova il coraggio di tagliare con il suo passato musicale, mettendo in atto un processo di riscoperta stilistica che strettamente si connette con un vero e proprio processo di autoanalisi personale. La costruzione di sonorità differenti rispetto al passato, atipiche e talvolta stranianti va di pari passo con la necessità di riportare alla mente traumi del passato personale. Non per versarvi sopra lacrime amare, ma per analizzarli e chiuderli con coraggio, vitalità, intimità e talvolta ironia e autoironia.
Canzone dopo canzone, infatti, Fiona Apple esplora varie dimensioni del suo passato esistenziale, talvolta in modo ironico, altre in modo intimo e dirompente dal punto di vista emotivo.
Basti pensare alla opening I Want You To Love Me e la sua narrazione di quel bisogno di essere amati simbolo di una grande apertura, o a quella For Her che, in modo intimo e toccante, esprime tutta la solidarietà e la rabbia dell’artista per le molestie subite da un’altra donna. Talvolta, nelle liriche, ritornano anche personaggi del passato, come una non precisata ex compagna di scuola protagonista in Shameika o l’attuale partner di un suo ex in Newspapaer. Insomma, in Fetch the Bolt Cutters, Fiona Apple mette un pezzo della sua vita privata. Racconta, esorcizza, si apre e si espone per la prima volta come non aveva mai fatto, andando incontro ad uno scopo terapeutico e di condivisione.
L’apertura, però, non risiede solo nella cura delle argomentazioni testuali. Di fatto nel suo nuovo lavoro la cantautrice statunitense si apre ad un approccio diverso nei confronti della musica, un approccio quasi avanguardistico
Il pianoforte, strumento tanto caro e simbolo della cantautrice, si fa da parte rimanendo, dove non del tutto tagliato, un semplice tappeto. A far da padroni, passo dopo passo, sono linee vocali estrose e colorate, un interessante utilizzo dei cori e la messa in moto di groove ben definiti, talvolta estremamente particolari e realizzati (va detto) con strumenti di fortuna. Già, perché, a differenza di molte produzioni “hollywoodiane”, Fetch The Bolt Cutters pare essere stato registrato in gran parte nella dimora della cantautrice (a testimoniarlo il latrare dei cani della sua coinquilina Cara Delevinge, impegnata anche nella realizzazione dei cori, presenti nella title track).
Il risultato finale è un lavoro dalle sembianze grezze, minimali, non levigate ma non per questo meno efficaci. Voci minimamente lavorate, padelle e sedie usate come percussioni, incroci di voci e registrazioni in presa diretta costruiscono un prodotto dal suono casalingo, familiare, estremamente “personale” e, in qualche modo, caloroso. Il tutto, ovviamente, in quella commistione di generi che riesce a passare con disinvoltura dal pop al jazz, dal cantautorato alla musica contemporanea alla John Cage. Ed è proprio questo, forse, l’elemento di maggiore stupore per la critica mondiale. Il ritorno silenzioso di una cantautrice che non solo si apre alla trattazione di temi estremamente personali, ma lo fa proponendo con maestria una musica ben diversa da quella usualmente fruita dal grande mercato, più vicina alla natura della musica colta che a quella popolare.
Tornando sul discorso dei feticci, però, ciò non basta per definire Fetch the Bolt Cutters un capolavoro, non in senso stretto, ed il motivo è semplice
Se nel contesto “industriale” in cui va a posizionarsi quello di Fiona Apple è senza ombra un tentativo coraggioso, nel vasto panorama musicale non rappresenta un inedito. Molti gli artisti, purtroppo di respiro ben meno ampio, che hanno tentato la via dell’avanguardia fusa con l’orecchiabilità negli ultimi anni (Bent Knee, per citarne solo uno). La sperimentazione presentata da Fiona Apple, nel suo prodotto, è un qualcosa che, in forme diverse e vesti altrettanto colorate, esiste, e da anni, già altrove. Esiste lontano dagli occhi distratti di quel mercato mediatico che sembra porre attenzione sulla buona musica, omaggiandola, solo quando proveniente da grandi nomi ignorandola, invece, se nata da fonti meno “altisonanti”.
Il capolavoro di Fiona Apple sta nel coraggio di presentare sé stessa a nudo assieme ad un’offerta musicale estemporanea per il grosso mercato, pericolosa, singolare e sicuramente non alla portata del pubblico “delle masse”, nonostante il potenziale di orecchiabilità che i pezzi sono in grado di sprigionare dopo qualche ascolto.
Non è, però, un capolavoro il tentativo in sé per sé dal punto di vista nudamente musicale. E’ coraggioso, di fatto, parlare di capolavori in un’era dove il tentabile musicale è sempre meno, dove il presentato è sempre di più e dove l’offerta è vasta, così vasta che anche un amante accanito come me, anche con tutta la dedizione del mondo, può sperare di toccarne solamente la superficie. Non è un capolavoro quello di Fiona Apple come non lo sono stati quelli di altri che hanno presentato, negli anni, musica altrettanto coraggiosa e di ottima fattura senza disporre, purtroppo, di un nome altrettanto altisonante.
I media hanno bisogno di creare miti e mitologie, feticci e personaggi, eventi sensazionali in grado di dare una capitolazione agli Annales dell’arte moderna
Di review e review ne ho lette di storie più o meno singolari legate alla genesi di questa nuova opera. Tutto ciò, però, senza però essere in grado di scavare realmente a fondo nelle cose, nei personaggi, nei protagonisti. Il visibilio stimolato da Fetch the Bolt Cutters è esattamente il sintomo ideale a individuare quella malattia di cui il mercato discografico e media/artistico è sempre più affetto: quello della superficialità. E non basta, per pulirsi la coscienza, il portare sul palmo di una mano una tantum ottima musica come quella di Fiona. E sembra proprio un volersi pulire la coscienza promuovendo, in via del tutto eccezionale, della buona musica dotata di spessore artistico quello che in molti tentano di fare incensando in maniera eccessiva quest’ultimo validissimo e artisticamente prezioso lavoro.
Il lato positivo è che, almeno, ogni tanto, qualcuno apre gli occhi e si rende conto del bello che possono serbare in esse certe proposte ben lontane dall’usualità, proprio come quelle avanzate dalla Apple in Fetch The Bolt Cutters.
Per concludere, non ci ritroviamo di fronte ad un capolavoro e, sinceramente, difficilmente a breve ne vedremo altri e sicuramente ben pochi ne sono usciti negli ultimi vent’anni
E non per mancanza di buona musica, ma per surplus di essa. Difficile, oggi, pretendere la nascita di opere dall’impatto musicale di un The Dark Side of The Moon. Un capolavoro, in genere, è anche ciò che ha il potenziale per stravolgere, sconvolgere e cambiare su un piano esteso gli attori in gioco in un intero settore. I tempi sono però cambiati, innovare alla radice è difficile e l’offerta è così ampia e spesso e volentieri così ricercata e lavorata che definire un certo tipo di ottima musica superiore ad un altro è ingenuo, supponente e anche umiliante per tutti gli attori in gioco. Fetch the Bolt Cutters è un gran bell’album eseguito con maestria da un’artista d’eccezione, ma non un evento isolato. Di grandi album e di artisti d’eccezione ve ne sono molti altri la fuori, il cui unico problema è non essere delle star.
E qui sorge la domanda, non vi sentite un pochino sporchi ad anteporre al riconoscimento artistico la grandezza del nome? Forse l’ottima musica come quella proposta da Fetch the Bolt Cutters non la meritate davvero, perché se Fiona Apple non fosse stata Fiona Apple, non l’avreste nemmeno notata, etichettandola come l’ennesimo tentativo poco vendibile di produrre qualcosa di “strano” dell’altrettanto ennesimo artista un poco sui generis.
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Se per questo, nemmeno The Dark Side of The Moon è stato un capolavoro, se non nel volume delle vendite. Appena acquistato CD della Apple. Detesto chi urla al capolavoro. Detesto chi altrettanto recisamente cassa cotanto giudizio. Mi accingo all’ascolto. Fosse solo un buon album, che di questi tempi e’ pure molto, avrei investito bene i miei soldi.