Spine, Myrkur: recensione

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Il percorso di Myrkur all’interno della scena alternativa è uno fra i piu interessanti, in assoluto, nella musica contemporanea, e ciò viene confermato dal nuovo Spine.  La danese Amalie Bruun, polistrumentalista, modella e all’occorrenza attrice, ha operato un’eccellente operazione sia musicale che di marketing fondendo il black metal, nei suoi prodromi di carriera (Mareridt), con, poi, il costante recupero della musica norrena tradizionale nell’ultimo lavoro – Folkensange. In sostanza, la sua musica è piu’  accessibile ad un pubblico strettamente amante del metal rispetto a quella degli Heilung, e, viceversa, partendo dal folk, può permettere un approccio piu’ morbido al black metal stesso – che ne pensate degli Ulver?

Ora, con Spine, uscito per Relapse il 20 ottobre, la sterzata è verso un goth atmosferico ma catchy – pop e contemporaneo ed estremamente piacevole.

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Se la intro Balfaerd può trarre in inganno – breve strumentale di arpa celtica, chitarre e voci muliebri fortemente riverberate –, la successiva Like Humans si avvale di elementi elettronici e chitarre elettriche classiche, a formare, tramite la voce sopranile ma fortemente echeggiata di Amalie, una deliziosa ballad pop: se i tempi fossero stati diversi, Like Humans sarebbe stata un’altra What Else is There dei Royksopp.

Spine mantiene coerenza interna pur variando: il filo rosso che unisce stilisticamente tutti i brani è un tentativo, ben riuscito, di mescolare i sopracitati elementi black e folk con l’elettro pop nordico (Susanne Sundfor su tutte): Mothlike, in chiave minore, è una dilatata e malinconica maledizione ritmata. Il piu’ facile e fruibile cantautorato goth a là Tarja è poi presente in My Blood is Gold, e nella successiva, oscura, blackeggiante Spine: decadente, ma che scalda il cuore nei riff lo-fi così cari ad un ascoltatore convenzionale. La playlist di Spine è ben calibrata, anche nella scelta dell’energetica Valkyriernes Sang, brano migliore dell’album assieme a Like Humans: riff tremolanti e doppia cassa – grandi classici di un’epoca dimenticata in cui i Dimmu Borgir erano i re del nord – sorreggono un grandioso pezzo folk, che fornisce dinamismo ad un album, altrimenti, estremamente molle (e non per forza ciò è un male). Un oscuro circo apre invece Blazing Sky, che abbraccia stilemi avant-garde prima di esplodere nel synth-pop tipico di Spine, stavolta in chiave minimal e goth – l’estetica musicale è sì decadente come il resto dell’album, ma stavolta, al posto di un mausoleo in collina, c’è solo una lapide solitaria in un prato. La baroccheggiante e operistica Devil in Detail aggiunge altro spessore al valore qualitativo dell’intera composizione, in cui Amalie Bruun peraltro regala una delle sue migliori performance vocali in termini di espressività, fra sussurri e accorate richieste di perdono.

Spine, Myrkur: recensione 1

Spine si conclude, forse troppo presto, con Menneskebarn, brano piu’ adatto a Folkensange per la sua aria eterea e serena: eppure è una sorprendente ninnananna, calda e accogliente come un abbraccio davanti ad un caminetto, una tazza di thè e profumo di fiori avvizziti. La poetica di Myrkur ha qui la sua quintessenza: originalità, tramite fusione di elementi anticonvenziali tipici del black metal – riff lo-fi, voce distante, lievi dissonanze, ma una melodia prettamente infantile, resa irresistibile dall’interpretazione vocale della vocalist.

Va riconosciuto che Spine è un album fortemente divisivo, sperimentale nel suo fondersi col pop, ed estremamente femminile: rilascia energia da ogni vertebra, impulsi elettrici di un sistema nervoso potente e distruttivo come quello di Akira, dimostrando che, dopo Kate Bush, Joni Mitchell e Bjork, la musica, ora, ha Myrkur. Che è ancora giovane ed ha una carriera intera davanti a sé: molto altro verrà dopo Spine, e sarà ugualmente sorprendente, come lo furono Mareridt e Folkensange.

Myrkur sarà in Italia per una data al Lucca Comics: il 1 novembre, all’interno della rassegna Spirits of Folk.

Giulia Della Pelle
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