The Phantom Five è il sesto album in studio – il quinto con brani originali – del progetto Awolnation, uscito il 30 agosto per Two Twenty Five Music.
Ogni volta che esce un album di AWOLNATION, dal suo mastermind Aaron Bruno, qualcosa di bello, luminoso e profondo come le Lampade di Arda si accende nella mia mente. I suoni cristallini, brillanti, raffinati ma caldi dei lavori del cantautore/megaband californiano, hanno il sapore del tornare a casa, del tepore di una spiaggia privata.
Se già il cover album My Echo, My Shadow, My Covers, and Me era stato un tiepido abbraccio nel mezzo della tormenta, l’arrivo di materiale originale – The Phantom Five – ha magicamente curato, per qualche istante, la mia tristezza.
Awolnation è da sempre un innovatore. Si propone di portare il pop rock ad un livello ulteriore, e di inserire beat, armonie e sonorità cui spesso l’ascoltatore medio non è abituato: eppure, brani come Sail sono conosciuti a chiunque e apprezzati ovunque – segno che la formula ha funzionato fin dal lontano 2011 di Megalithic Symphony. Il lavoro precedente a The Phantom Five, Angel Miners and the Lightning Riders, è stato pubblicato in piena pandemia, nel 2020, e contiene alcuni dei brani migliori mai composti – come I’m a Wreck e, ispirato ai tremendi incendi californiani, California Halo Blue. I suoni di Angel Miners and the Lightning Riders erano sospesi, e ricalcavano fortemente – nel bene e nel male – l’europop d’oltreoceano: un tipico build up ed un’esplosione finale, rifinendo dunque brani con una doppia faccia. Al contrario, The Phantom Five è un tipico album indie rock, tradizionale, accogliente, semplice nella sua raffinatezza ed eleganza: è pieno di rimandi a classici della musica – forse outtake dal cover album – che reinventa, reimpasta come nello splicing molecolare e porta a nuova vita. Jump Sit Stand March – arrabbiata e urlata come il finale di Angel Miners – inaugura l’album, per poi calmarsi in un bellissimo chorus fortemente orecchiabile; la produzione è sempre eccellente, e crea un suono rotondo su cui nessun elemento spicca sull’altro – se non per la caratteristica, fortemente pop, di rendere il brano un piccolo, cantabile, inno infantile. Il parco giochi della copertina.
Ora, io non so se il titolo sia riferito all’omonimo racconto di Robert Sheckley – un divertissement del 1989 – in cui un gruppo di “decontaminatori planetari”, in un lontano futuro, si trovano a fronteggiare i peggiori incubi della loro infanzia concretizzati come alieni – e trovano rifugio sotto le coperte del proprio letto. Seppur così non è, i rimandi ai traumi infantili sono onnipresenti in The Phantom Five, già nel secondo brano, I Am Happy con la collaborazione del rapper Del tha Funkee Homosapien, un brano acidino di chitarre e beats ritmati che dichiara, orgogliosamente, la propria gioia – che sia toxic positivity o meno. Il bridge scivoloso arricchisce il brano di interessante dinamismo, nonchè la refernce ad Umbrella di Rihanna – I don’t need your Umbrella! – di cui cita, anche, la progressione di accordi. Le citazioni – e i rimandi all’infanzia, dato che, come i millennials tutti, anche Bruno è cresciuto con loro – non si fermano, e Party People è una dichiarazione d’amore ai nientepopodimenoche dei Bloc Party: la melodia e la ritmica della strofa sono dei chiari omaggi a Helicopter, famosissimo brano della band indie rock inglese. A quanto pare, ho notato solo io tale rimando. Forse dovrei trovare un altro hobby.
Ve li ricordate i Bloc Party? La battaglia d’amore dei robottoni sul video di Flux? No? Beh, fatevi un favore e andate a recuperare.
Non c’è un attimo di riposo in The Phantom Five e siamo già al pinnacolo dell’album: Panoramic View è la California Halo Blue di questo lavoro, ed è una splendida ballad di piano e pad – e, ancora, tornano i mostri dell’armadio, artigli sguainati, un coraggioso orsacchiotto armato di spada a proteggere il piccolo cavaliere ottenne.
Somewhere out there, still, I believe in magic
Let the monsters loose, I believe in magic
I won’t let them hurt you
Lay your hands on me, I believe in magic
A romantic fool, I believe in magic
I won’t let them hurt you
Country e singalong è anche Barbarian, un ottimo brano dal significato apparentemente molto intimo per l’autore. La breve Bang Your Head assomiglia ad un brano fuoriuscito da Angel Miners, e gioca su interessanti accelerazioni e rallentamenti – ed è infatti la colonna sonora del trailer di Vox Machina season 3, anime statunitense che ha ricevuto recensioni entusiaste. La successiva City of Nowhere è un interessante sampling da L’Estate Sta Finendo dei Righeira – qualcosa che MAI avrei aspettato di trovare all’interno dell’album. La bellissima, dai suoni curatissimi, A Letter to No One si concentra, invece, sul crescere: I like Gloomy Weather, and all my friends are gone. Diventare quarantenni può essere un trauma ed una benedizione: di certo non ha ridotto l’energia creativa del cantautore. Ancora, un amarcord dei tempi passati è in When I Was Young, brano la cui composizione è forzatamente giovanile – un mocking di quelle colonne sonora che si odono nei flashback dei film, fotografia smarmellata – tranne per l’eccezionale refrain fortemente italodisco che mi ha fatto sognare: grazie Aaron, hai colto l’essenza di Gigi Dag. La chiusura di The Phantom Five è affidata a Outta Here, un grazioso atomico commiato come lo era stato I’m A Wreck – la bomba è un topòs che non stanca mai.
Su reddit si sussurra che, in realtà, The Phantom Five sia un indizio riguardo il futuro del progetto Awolnation: Aaron Bruno diverrà il sesto fantasma, e non ci sarà più nuova musica a nome Awolnation. Il progetto, insomma, andrà AWOL. Non senza fuochi d’artificio.
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