Regenerator dei King Buffalo – Recensione

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L’innovativa band dei King Buffalo si presenta in grande stile con una nuova esplorazione epica e orchestrale. Dopo il precedente album roccioso Acheron, registrato in un’atmosfera irreale e quasi mitologica, ci inoltriamo in una direzione ben diversa, un viaggio sperimentale.

Il terzo disco del trio americano si intitola Regenerator e racchiude una trilogia, come la band stessa ha dichiarato, lasciando quella giusta curiosità al pubblico. C’è spazio per l’esplorazione di orizzonti ambient, di matrice progressive. Il sound si fa espansivo, come nelle due suite lunghe e suggestive. La produzione è curata dall’etichetta tedesca Stickman Records.

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La cover di Regenerator dei King Buffalo

La title track “Regenerator” fa da faro all’apertura lenta di questo disco, avvalendosi di un approccio leggero e accogliente, che nella parte iniziale mette in pausa per un instante il rombo furioso delle distorsioni e poi, a passi sostenuti, avvia una meditazione interiore. Il brano si regge in modo deciso sulla ritmica e su dolci synth, unendo la successiva “Mercury”. In questo caso la struttura diviene minima, in un’atmosfera lunare, dove nel delay ripetitivo delle chitarre, si ben incastra il vortice frizzante delle percussioni. Nella linea vocale poi si apre una narrazione personale, che unisce il tiro corposo del basso, per una composizione solida e dinamica.

“Hours” invece è la canzone più oscura del disco, con una distorsione aggressiva che immerge l’ascoltatore in un viaggio caotico. Nel testo si racconta la storia di un ragazzo che vede la propria vita sfuggirli di mano, continuando a credere all’impossibile, alla ricerca di tempi migliori. Sul finale, il cambio strumentale è una chicca preziosa, che culla il vortice che è marchio di fabbrica dei King Buffalo. Le note dolci di “Interlude” cavalcano un’onda lenta, una piccola fiaba preziosa, che fanno da contorno alla qualità notevole delle seconde voci e l’arpeggio mistico di chitarra. Una traccia che mostra la band sotto una forma differente.

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L’inno che appare a metà opera viene affidato al tappeto sonoro e silenzioso di “Mammoth“, un’altra canzone ben strutturata, dove una jam sensazionale si arriccia al suo interno, come un drago che si stiracchia. Con l’ingresso della distorsione, il ritornello si prende tutta la scena e racchiude il solo monumentale di chitarra che chiude il brano. Prima di chiudere, una leggenda metropolitana si manifesta sul percorso spirituale di “06 Avalon” portando il disco a una vibrazione più acuta di un luogo dormiente. Regenerator si chiude con con “Firmament”, che è una summa del meraviglioso lavoro creato in questo nuovo capitolo, in una sinfonica, lunga cavalcata , fino ad arrestarsi nel finale trionfante, con il terremoto incendiario delle distorsioni.

I King Buffalo, con Regenerator, danno alla luce un album creativo che ha innalzato l’asticella della qualità per la quale li conoscevamo. Nei passaggi sofisticati di Regenerator, i King Buffalo creano una storia intricata, che fa da chiusura intrigante alla trilogia. Un lavoro complesso, ricco di sonorità vintage da tenere d’occhio.

VOTO: 7

Link Utili:

° Bandpage Facebook: https://www.facebook.com/kingbuffaloband

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