Lui, Rimbaud, era un giovane scapestrato, con il cielo negli occhi. L’altro, Verlaine, un uomo maturo, padre di famiglia e con una vita borghese chiusa nell’ordinario. Come un terremoto scoppierà un sentimento tanto forte quanto controverso fra i due e niente sarà più come prima.
Fuggire per amore
Le fughe romantiche hanno sempre attratto il pubblico di ogni epoca. Il segreto? La voglia di evadere per vivere ogni singolo giorno a fianco della persona amata. Di solito si fugge perché qualcuno, in famiglia o nel luogo d’origine, si mostra contrario all’unione fra due persone. Questo è un bel problema: compiacere chi ci ha cresciuto, educato, sfamato oppure chi, incontrato per caso in uno dei tanti giorni che si susseguono uguali nella nostra vita, ci ha fatto battere il cuore più di chiunque altro? Bel dilemma.
Di fronte al bivio si può fare solo due cose: rinunciare all’amore – ma come si fa a rinunciare a un amore corrisposto? – o voltare le spalle agli affetti che ormai sembrano appartenere solo al passato. La fuga d’amore, con ciò che di rocambolesco sembra prospettare, è una soluzione drastica, indubbiamente, ma sempre meno drastica di quella trovata da Romeo e Giulietta per sciogliere un nodo tanto ingarbugliato.
L’Ottocento, il secolo del romanticismo
L’Ottocento è il secolo del romanticismo. Tanti desideri, frustrazioni, speranze tenute imbrigliate dalla morale bacchettona che aveva accompagnato i secoli di passaggio tra Medioevo ed età moderna trovano libero sfogo nell’arte, la letteratura, la musica. E l’uomo si rifà di tanto tempo sprecato ad assecondare gli orientamenti di una società che, dietro alla presunta castità, nascondeva solo ipocrisia. Parlare d’amore non solo è consentito, ma anche necessario.
Come in tutte le mode, chi non lo fa è fuori dal gioco. I sentimenti diventano argomento principe di conversazione, e l’amore, in tutte le sue forme, comprese quelle più peccaminose, torna ad occupare l’intera scena. Ecco dove ricercare l’interesse per le tresche, i delitti d’onore, le fughe su un calesse nel cuore della notte.
Amori simulati, amori reali
Verrà da pensare, messa così, che tutto questo possa essere solo una trovata riuscita per conquistare dame borghesi e salotti mondani. In un certo senso è vero. I romanzi d’appendice spopolano in questo secolo, le chiacchiere si diffondono – merito anche del neonato giornalismo a stampa – con una velocità fuori dall’ordinario.
Ma non è tutta un’invenzione letteraria. O, almeno, non lo è finché la letteratura di consumo non annusa l’affare e ci ricama su una storia. Certi amori possono essere travagliati, terribilmente reali nella loro drammaticità. Ne è un esempio la turbolenta storia tra Arthur Rimbaud e Paul Verlaine, poeti fondamentali per il simbolismo europeo, penne alla ricerca di un’identità in un secolo che l’aveva barattata con il progresso l’identità.
Rimbaud e Verlaine: lasciare tutto per vivere insieme
I due si conoscono per iniziativa di Verlaine, di dieci anni più anziano rispetto a Rimbaud. Verlaine, lette alcune poesie di questo giovane cresciuto in provincia, lo invita a raggiungerlo a Parigi e Rimbaud, da adolescente ambizioso e curioso di scoprire il mondo della città, accetta. È il 1871, sono anni movimentati per la nazione, ma i due più che dalla politica sono accomunati dalla stessa passione per la letteratura.
Passione che oltrepasserà i limiti dell’arte, diventando un vero e proprio rapporto amoroso. In verità, l’unico a provare un amore autentico sarà solo Verlaine, peraltro già sposato, che, per seguire Rimbaud, rinuncerà al tetto familiare, lasciandosi dietro alle spalle moglie e figlio. Comincia così una vita vagabonda, fatta di continui traslochi che li porterà a soggiornare in Belgio, Inghilterra e ancora in Belgio.
Da Londra a Bruxelles, fino al tragico epilogo
La vera natura di questo rapporto malato verrà a galla proprio durante il soggiorno londinese. Per Verlaine è una discesa agli inferi con la moglie che minaccia il divorzio e il giovane Arthur che sembra sordo di fronte a tanti sacrifici compiuti proprio per stare con lui. La Londra vittoriana affascina per un’impostazione ordinata dietro la quale si annidano però le peggiori deviazioni della specie umana.
I due litigano spesso, ma presto fanno pace e ogni volta l’ennesima sfuriata viene accantonata di fronte a un boccale di birra o a un bicchiere di assenzio consumati nei quartieri malfamati della capitale. Finché non si consuma la grande rottura, la famosa goccia che fa traboccare il vaso. Dopo un litigio forse più acceso del solito, Verlaine lascia Rimbaud a Londra e parte per Bruxelles, dove da una camera di albergo minaccia il suicidio.
La madre di lui implorerà Rimbaud di raggiungerlo per farlo desistere dal suo intento, così il giovane impegnerà i pochi abiti lasciati da Paul nella loro stanza per pagarsi il viaggio. Raggiunto l’ex compagno, seguirà un nuovo litigio, ma stavolta le cose andranno molto peggio del solito: Verlaine, armato di una pistola che avrebbe dovuto dargli la morte, spara. E a rimetterci, anche se non gravemente, è Rimbaud, che viene colpito a un polso.
Arthur, dopo un ricovero d’urgenza, sarà dimesso e ritirerà persino la denuncia che aveva avanzato contro Verlaine. Ma ciò non basterà ad evitare due anni di galera all’amico, forse più per l’astio di giudici offesi dalla relazione omosessuale che per l’atto violento in sé. Non ci dimentichiamo, in fondo, che anche Oscar Wilde vent’anni più tardi sarà condannato perché omosessuale e sconterà due anni di carcere proprio come Verlaine.
Arthur Rimbaud, un angelo in esilio
Il capitolo della relazione tra i due si chiude qui. Per Verlaine gli ultimi vent’anni di vita saranno caratterizzati da terribili sensi di colpa che lo porteranno a cercare rifugio nell’alcol, compagno fidato già prima che conoscesse Rimbaud.
La sua vita si spegnerà nel 1896 nella miseria più nera, ma Rimbaud resterà un chiodo fisso anche anni dopo la loro separazione, come attesta la pubblicazione di una raccolta di poesie del giovane autore, Les Illuminations, curata proprio da Verlaine e data alle stampe nel 1886. Difficile immaginare che la mente di Verlaine ogni tanto non tornasse al periodo di quella dannata convivenza a Londra, se si considera che le poesie della raccolta furono scritte da Rimbaud proprio tra il 1872 e il 1874 (la loro relazione durò un paio di anni, dal ’72 al ’73).
Rimbaud, dal canto suo, attaccherà la cetra al chiodo e, a differenza di Verlaine, smetterà di scrivere a partire dagli anni ’80. Vivrà come un cane randagio, dedicandosi a numerosi mestieri per approdare infine in Africa, in Abissinia, dove si pensa che si dedicò anche al contrabbando. E in Africa avrebbe voluto morire, ma la sorte, questa dea dispettosa, non ne volle sapere di esaudirlo. Morì a Marsiglia, nel 1891, ad appena 37 anni. A niente servì amputargli la gamba per salvarlo dal cancro che aveva intaccato le ossa. Di quell’amore oggi ci restano una pistola, delle lettere e dei bicchieri vuoti. Ma anche lo stupore di meravigliosi versi.
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