Stadium è una delle opere meno conosciute di Maurizio Cattelan, è irriverente come lo è la sua arte tutta. L’artista, dall’educazione misteriosa, è divenuto noto per il suo forte riscontro dal pubblico e dal mercato dell’arte con performance e happening di natura goliardica.
Dopo la riapertura delle scuole è la volta degli Stadi: è difatti stata annunciata per le prossime settimane, anche se con misure restrittive – mille spettatori per partita – il match a porte aperte, il primo da marzo. Ma cosa c’entra il Calcio con l’artista padovano?
In pochi sanno forse che il suo esordio è stato nel 1991 alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna dove presenta Stadium. Ma cosa accomuna l’arte con il gioco del pallone?
Le origini di questo sport sono antichissime risalenti persino al lontano continente asiatico, ma il primo abbozzo del calcio come lo conosciamo oggi è individuabile nel Medioevo, chiamato Calcio in Costume o Fiorentino. Il calcio nasce come sport di aggregazione e oggi ha uno stretto legame con l’identità nazionale e, per la sua popolarità e trasversalità, ha stimolato molti artisti a riflettere sulle dinamiche della società e su come esso le rispecchi.
Con Stadium Cattelan allude alla tensione raziale e xenofoba verso i diversi, verso gli immigrati. Mediante questa installazione viene fuori sin da subito una critica che si pone sempre in bilico tra il pop e il suggerimento politico-sociale.
Cattelan crea undici postazioni per lato e orchestra un match reale; da un lato undici italiani del Cesena, dall’altro la AC fornitore sud, che lui stesso aveva creato lo stesso anno, formata da giocatori senegalesi. Il messaggio sociale, ma anche politico, che vuole dare l’artista nel ’91 – a ridosso della caduta del muro di Berlino che porta conseguentemente al fenomeno della globalizzazione e al cambiamento anche finanziario del gioco del calcio – è un messaggio di inclusione, creazione di una comunità, e nonché la diversità come acceleratore di conoscenze.
Il calcio balilla è uno strumento con cui ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha giocato, ma in questo caso il gioco si amplifica e si replica nel suo essere, invitando individui più diversi tra loro a far parte del gioco.
Da giovani ad anziani, donne o uomini, bianchi o neri, il gioco del calcio subisce un cortocircuito facendo saltare le regole consolidate: tutti possono tornare a giocare insieme e questo è possibile, oltre ad essere auspicabile.
La diversità deve essere semplicemente sinonimo di quella parte del mondo che non conosciamo, ma che non necessariamente è malvagio o aggressivo. Una persona nella sua complessità è sempre un fattore che può arricchirci, in ogni caso.
L’opera di Cattelan si può leggere quindi come un manifesto antirazziale, ma allo stesso tempo svolge la sua funzione con quel velo di ironia che contraddistingue tutto il suo percorso artistico. Tuttavia il fenomeno del razzismo è duro a morire, ma il calcio, veicolo di solidarietà e aggregazione, cerca di fare la sua parte lanciando una campagna lo scorso anno: Tutti uniti, contro il razzismo.
La Lega Serie A ribadisce la sua posizione e manda in campo la sua “squadra”; venti campioni, uno per ogni club, scelti per la loro “specifica sensibilità sul tema razzismo”, De Siervo ha mostrato l’opera di Simone Fugazzotto, Le Tre Scimmie, una delle iniziative nella lotta al razzismo articolata nelle dimensioni culturale, sociale e nella dicotomia repressione/inclusione.
Con questa nuova stagione calcistica dopo il lungo periodo di isolamento e distanziamento, e contenimento cui siamo stati costretti e dobbiamo continuare a seguire, si spera di tornare negli stadi con un nuovo auspicio: uno stadio libero da inclinazioni razziste e straripanti di odio poichè il senso del calcio è un altro: un gioco nato per unire più persone.
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