Più di trentacinque anni fa se ne andava l’ultimo vero leader del PCI, simbolo di una politica pulita e idealista. I Modena City Ramblers hanno dedicato ad Enrico Berlinguer una delle canzoni più belle mai fatte, un omaggio a uno dei politici più amati della storia italiana
“A Padova di sera c’era l’Italia tutta quella sera in Piazza della Frutta, e fu come abbandonare un padre o un amico quando il cielo rivolle indietro Enrico”.
Voglio cominciare a raccontare Enrico Berlinguer con i versi di Novecento, canzone di Valerio Sanzotta, perché Berlinguer non era solo un leader carismatico, ma era anche un padre, un amico e un fratello. Era un uomo posato ed appassionato, un amante della democrazia, un politico onesto dalla passione contagiosa, civile e rispettato, un Compagno dallo spiccato rigore morale, un rivoluzionario elegante. Un patrimonio inesauribile dei valori della Sinistra fondata su ideali ben cementati, quei valori che a quasi quarant’anni di distanza nessuno ha mai saputo reinterpretare.
Se ci fosse ancora oggi, Enrico Berlinguer sarebbe uno dei tanti “radical chic”, una qualsiasi “zecca rossa”, un “buonista” e un “sinistroide” qualunque. Uno di quelli che vengono aggrediti con i “portateli a casa tua” e a cui gli viene rimosso uno striscione pacifista dal balcone.
Perché Lui era un utopista, l’ultimo idealista romantico dal sorriso gentile, era il capo della Sinistra. Di quella Sinistra che non aveva mai governato perché il mondo diviso in blocchi non lo permetteva. Di quella Sinistra che portò il PCI ad affermarsi per la prima – ed ultima – volta il primo partito italiano, sorpassando la DC. Di quella Sinistra che si era messa al centro della trasformazione politica e ideologica del partito verso l’Eurocomunismo e la destalinizzazione.
La sua morte improvvisa – dovuta alle conseguenze di un grave ictus che lo aveva colpito durante un comizio a Padova la sera del 7 giugno – fu un dolore collettivo, una ferita nel cuore per milioni di italiani, e non solo, che seguirono i funerali in diretta sulle televisioni: “Hanno detto per la radio che c’è stata una disgrazia, a Padova è stato male il segretario del PCI”.
Proprio a Lui, così schivo, riservato e composto, il destino gli ha conservato una morte terribilmente pubblica. C’è chi ha scritto che è “morto sul campo di battaglia”, altri invece sul “posto di lavoro”. Ma quel che è certo è che Enrico Berlinguer ha lottato fino all’ultimo minuto della sua vita per un ideale, quello che aveva sposato a vent’anni e che non ha mai abbandonato, a costo della sua stessa vita.
“Io ho fatto una scelta di vita: stare dalla parte dei più deboli, degli sfruttati, dei diseredati, degli emarginati. E lo farò fino alla fine della mia vita”
Berlinguer era un politico perbene, di quelli che è difficile – a volte impossibile – trovare, era un vero signore d’altri tempi. Era, per usare le parole di Max Weber, “il politico con la vocazione, cioè il vero Politico, quello che serve una causa”.
Il PCI con lui toccò numeri da capogiro che un qualsiasi Paese d’Occidente poteva solo sognare durante la Guerra Fredda, ebbe un consenso popolare che mai si ripeté. Roberto Benigni scrisse una volta: “Non mi piace la politica, mi piace Berlinguer”, facendosi portavoce di un sentimento collettivo che culminò in una manifestazione per la pace al Pincio nel giugno 1983, quando lo prese in braccio “per ricambiare tutte quelle volte che mi sono sentito sollevato da lui”.
Alle ore 12 e 45 minuti dell’11 giugno 1984 il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini diede l’annuncio in un italiano stentato che tradiva l’emozione per quella perdita che sconvolse le vite di milioni di italiani: “L’onorevole Berlinguer è mancato di vivere”, la voce del Segretario si spegneva definitivamente, segnando la fine di una parabola iniziata nel dopoguerra.
Alle ore 15:00 l’Unità dava l’annuncio straziante con un’edizione straordinaria dal titolo struggente: “E’ MORTO”. Una tuonata che raggiunse tutte le sedi del Partito Comunista Italiano, che nel frattempo erano attorniate da persone accorse incredule, mentre le copie del quotidiano si stampavano senza sosta.
Molto probabilmente quello era un segnale di ciò che avvenne due giorni dopo. Nel caldo 13 giugno a Roma, durante i funerali, dove vi fu un’immensa folla a tributare l’ultimo e commovente saluto ad un uomo dallo sguardo lungo, integro nei suoi valori. Capace di imprimere un peso alla coscienza civica e morale italiana.
In quella circostanza emerse il forte legame tra Enrico Berlinguer e i cittadini, una calca immensa che creò qualcosa di irripetibile, una piazza “gremita all’inverosimile”. Perché Lui le piazze le riempiva sul serio: “Un popolo intero trattiene il respiro e fissa la bara, sotto al palco e alla fotografia la città sembra un mare di rosse bandiere e di fiori e di lacrime e di addii” – cantano i Modena City Ramblers in I funerali di Berlinguer.
Vennero da tutta Italia e da tutto il mondo a rendergli omaggio: capi di stato e di governo, leader di maggioranza e opposizione, ma soprattutto gente qualunque. Alla fine furono in due milioni a partecipare ai più grandi funerali della storia d’Italia: “A Modena in stazione c’era il treno del partito, ci ha raccolti tutti quanti, le bandiere e gli striscion”.
Perfino Almirante, capo del MSI, si mise in fila per salutare il “rivale politico”, un camerata “venuto a rendere omaggio a un uomo che credeva nelle sue idee”. Nessuno tra la folla fiatò o protestò per la sua presenza, un rispettoso silenzio accompagnò quell’evento straordinario per la storia politica italiana. “Gli amici e i compagni lo piangono, i nemici gli rendono onore, Pertini siede impietrito e qualcosa è morto anche in lui. Pajetta ricorda con rabbia e parla con voce di tuono ma non può riportarlo tra noi”.
Per un attimo l’Italia parve riconciliarsi con se stessa, unita in un unico dolore.
Chissà cosa sarebbe diventata l’Italia se ci fosse stato quel “Compromesso Storico” tra Berlinguer e Aldo Moro: Lo scandalo “mani pulite” lo avrebbero evitato? L’Era Berlusconi e della Lega sarebbe iniziata lo stesso?
Queste domande non avranno mai una risposta, ma quel che è certo è che la politica vera, quella che faceva Berlinguer, intesa come una missione, è una cosa bella! Perché Berlinguer incarnava il politico capace di disegnare il futuro e trasmettere ideali sani.
“Qualcuno era comunista
perché Berlinguer
era una brava persona”
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