L’attore nella casa di cristallo di Baliani: l’artista e il pubblico

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L’attore nella casa di cristallo, quattro monologhi sulla solitudine dell’artista ad Ancona per Marche Teatro con la regia e la drammaturgia di Marco Baliani da un’idea di Velia Papa in un momento buio per lo Spettacolo dal Vivo in Italia. Un progetto con grandi potenzialità che non arriva, però, fino in fondo.

Andare a teatro per la prima volta dopo poco più di tre mesi. Rientrare nel mondo di cui faccio parte anche come addetta ai lavori, quel mondo che è la mia vita e per il quale combatto ogni giorno. Provo un po’ di invidia per i miei colleghi che da lunedì sono potuti tornare in scena. Invidia buona, li considero degli eletti, sono felice per loro ma so che sono una minoranza. Un apparente ritorno alla normalità, un momento di gioia e di commozione che, dietro, nasconde tanta polvere e sporcizia accumulata in anni di ignoranza e di attentati alla cultura.

Il progetto di Baliani e Papa è promettente: quattro giovani attori rinchiusi in teche di cristallo che raccontano la loro vita da artisti costretti a star rinchiusi in una prigione di vetro. Michele Maccaroni, Petra Valentini, Eleonora Greco e Giacomo Lilliù si alternano, a coppie, dal 15 al 28 giugno nel piazzale antistante il Teatro delle Muse come bestie in gabbia. Inutile raccontare chi sono, qual è la loro formazione o il loro percorso, chi di loro è più conosciuto e chi meno, in L’attore nella casa di cristallo questi quattro ragazzi rappresentano il declino della figura dell’artista.

L'attore nella casa di cristallo

Un’idea sicuramente non originale (quella di usare delle teche di cristallo) ma affascinante: togliere la parola a chi, sul palco, di parola ci vive, costringerlo ad essere ascoltato tramite delle radioline e degli auricolari che lo spettatore può, a piacimento, spostare sul monologo dell’uno e dell’altro o ascoltarli entrambi intrecciarsi (sarebbe stato bello avere una spiegazione all’ingresso).

Appena entrata vengo catturata dalla figura di Lilliù e decido di seguire lui. Lo scelgo, consapevolmente. Il viaggio inizia e vengo catapultata in un mondo fatto di spezzoni, ricordi, brandelli di canzone strappati e ricuciti, testi teatrali famosissimi (uno su tutto il monologo del Macbeth), poesie, filastrocche… il non poter respirare, la morte, Uma Thurman… è il mondo dell’attore Lilliù, dell’umano, la sua interiorità che viene raccontata, ben scritta, poetica a tratti inserita in una realtà angosciante, claustrofobica, di sofferenza fisica sia per il personaggio che per l’interprete stesso, costretto a due repliche di seguito chiuso e senza possibilità di tregua.

Mentre, sullo sfondo, Eleonora Greco si muove, fluttua, come un pesciolino nella sua boccia, come una sirena che non è più nel suo oceano. Provo a sintonizzarmi sulla sua frequenza ma ho paura di perdere l’altro viaggio e, a malincuore, la abbandono. Mi sarebbe piaciuto poter assistere ad entrambi i monologhi, del resto la durata di mezz’ora di ognuno avrebbe permesso al pubblico di fruire di entrambe le storie per poter sentire più punti di vista, più opinioni, più realtà.

L’intenzione di Baliani e quello che cerca di raccontare con una poesia sublime ne L’attore nella casa di cristallo è ben visibile e chiaro, il suo amore per il teatro e per la “macchina” che lo circonda fuoriesce da ogni centimetro di quelle pareti di vetro e anche dal fatto che viene lasciata una grandissima libertà agli attori, segno di fiducia e di grande maestria. Ma il problema è un altro: vedere un attore che dà tutto se stesso, racconta, parla, si muove, suda, fa una fatica immensa e poi conclude senza potersi prendere un applauso mi fa chiudere lo stomaco. Questo mi succede non perché sono una spettatrice qualsiasi ma perché rivedo me stessa in quella scatola trasparente esposta al pubblico ludibrio (siamo all’aperto, i passanti si fermano a guardare dei pesci muti che aprono e chiudono la bocca).

Sento un pugno nello stomaco perché so che per anni siamo stati, come artisti, in quella condizione e ancora lo saremo se non si prova a scardinare un sistema corrotto che si ripete come un nastro rotto, come le voci radiofoniche degli attori. Soffro e piango perché so di essere una bestia di scena che muore ogni sera (come si dice nel teatro giapponese) senza lasciare traccia. Sì perché tutto quello che faccio, tutto quello che fanno quei ragazzi ha uno scopo: veicolare un messaggio e creare un ponte con la parte più importante del mio girovagare, il pubblico. Tutto quello che faccio e che fanno deve tendere a donare un messaggio al pubblico che è l’unico nostro fine, l’unico fine di un messaggio teatrale.

Allora mi guardo intorno e penso: anche loro stanno soffrendo quanto me? Anche loro si sentono soffocare, con la salivazione a zero come gli attori? Hanno compreso cosa significa il titolo: L’attore nella casa di cristallo? Non credo, perché non c’è un punto di rottura, non c’è un momento in cui gli attori dicono: “aiuto sto affogando” e tendono le mani verso di noi, non c’è un momento in cui ci chiedono di dar loro da bere. Qual è lo scopo di farli sfinire così se, al pubblico non resta nulla? E non perché il pubblico sia ignorante ma perché quel filo sottile tra noi e loro non esiste, o, perlomeno non esiste più e il raccontarlo diventa, nuovamente la narrazione di una condizione che solo chi vive può capire.

L'attore nella casa di cristallo

Abbiamo bisogno di poesia e di elevarci e, per questo ringrazio Giacomo Lilliù e Marco Baliani che lo ha saputo abilmente guidare ma abbiamo bisogno, anche, di ritornare all’essenza, alla semplicità che va oltre la performance, riscrivere tre semplici parole: io, tu, noi, comunità, spazio, teatro. Abbiamo bisogno di qualcuno che osi un po’ di più e ridoni speranza.

Elena Fioretti
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