Il 1° dicembre 1970 entrava in vigore in Italia la legge sul divorzio, confermata quattro anni dopo dal referendum. Una vittoria epocale, una conquista della libertà nata da un lungo iter parlamentare e anni di contrasti. Ma come spesso accade, il cinema si è fatto promotore e precursore dei tempi
«Per quanto siano forti i sentimenti che uniscono un uomo e una donna, essi possono anche mutare».
Una frase storica, detta da Nilde Iotti al Parlamento poco prima dell’approvazione definitiva della legge sul divorzio. Sono passati cinquant’anni da quel giorno, un successo arrivato nel fulcro della stagione dei diritti, nel pieno degli anni di lotta per l’uguaglianza giuridica tra uomo-donna: abrogazione del reato di adulterio, riforma del diritto di famiglia, legge sull’aborto, abrogazione del diritto d’onore.
Tutti passi verso una civiltà e un’emancipazione non ancora pienamente raggiunta. Ma da quel momento le donne avevano ricevuto uno strumento per liberarsi da una società che le vedeva, e le voleva, relegate – o ingabbiate – in un matrimonio che le spingeva verso la vita domestica.
Mentre gli italiani conquistavano una grande vittoria per la libertà, i contrasti parlamentari non terminarono, e si dovette continuare a lottare per difendere tale diritto che ad oggi è considerato inalienabile. Perché se all’epoca i giornali titolavano “L’Italia è un Paese moderno”, la popolazione fu chiamata alle urne nel 1974 per confermare quello che i democristiani volevano togliere.
Sappiamo tutti che l’Italia è un paese di solida tradizione cattolica. Tanto che la legge sul divorzio faticò ad essere accettata, rispetto agli altri paesi. A lungo il divorzio era considerato sbagliato, un fallimento della società. Tuttavia la settima arte ha saputo raccontare gli anni in cui il dibattito era acceso su questa tematica.
Nel 1961 Pietro Germi puntò il dito contro il sistema italiano con Divorzio all’italiana, uno dei più bei film del Novecento.
Il divorzio era considerato ancora un tabù, eppure il regista seppe mettere in piedi quello che è considerato uno dei maggiori esempi cinematografici di analisi socio-morale italiana. Non me ne vogliano gli altri film, ma su questo vorrei dilungarmi. La mia scelta non è casuale, perché mentre le altre pellicole sono incentrate su un matrimonio finito, Divorzio all’Italiana invece parla del diritto d’onore.
Perché l’unica risposta alla fine di un matrimonio era l’omicidio legalizzato, l’anticamera degli odierni femminicidi, dettati da una cultura estremamente maschilista.
Un film sapiente che fece conoscere al mondo l’immenso talento di Marcello Mastroianni, attore magnifico che conquistò anche una candidatura agli Oscar, e Stefania Sandrelli. La storia si svolge in Sicilia, dove il protagonista vorrebbe divorziare dalla moglie ma la legge italiana non lo permette ancora. Tuttavia è previsto il delitto d’onore. Così l’uomo decide di trovare una scusa per uccidere sua moglie.
Quella messa in scena da Germi è una critica feroce e al vetriolo verso una cultura estremamente patriarcale, abituata a certi codici morali e conformarsi ad essi senza spirito critico.
La scelta di ignorarli e non seguirli significa la gogna pubblica e l’emarginazione sociale, nel senso negativo del termine. E il personaggio di Mastroianni è ben consapevole di questo ritardo culturale. Così, invece di subire le conseguenze decide di sfruttarle a proprio vantaggio, costruendosi tutta una serie di attenuanti per far contenti il contesto di appartenenza e la giustizia degli uomini.
Germi ebbe la capacità di rompere i paradigmi di una società bigotta e pruriginosa. Portando sul grande schermo un ritratto grottesco e spietato della provincia siciliana degli anni sessanta.
Divorzio all’italiana è ancora oggi, a distanza di quasi sessant’anni, una delle più belle commedie nere del cinema italiano, dove la sceneggiatura premio Oscar sottolinea i caratteri psicologici dei personaggi, rapportati ai costumi e alle convenzioni sociali e normative dell’epoca, narrando in maniera originale i rapporti familiari e di genere. A distanza di tanti anni, rimane una fotografia fedele di una certa Italia troppo retrograda.
Gli altri film che “chiamavano” il divorzio e che sono meritevoli di essere citati sono Scusi, lei è favorevole o contrario? di Sordi e Il Divorzio di Guerrieri.
Prendendo spunto dal fragoroso dibattito parlamentare, nel 1966 Alberto Sordi seppe raccontare e dissacrare l’interrogativo sul divorzio. Nonostante Scusi, lei è favorevole o contrario? non è tra i migliori lavori di “Albertone”, l’attore romano seppe mettere l’accento sull’incoerenza di una parte dei ferventi cattolici che ostracizzavano la legge. Sordi interpreta un uomo sposato che si professa contrario all’idea del divorzio per motivi religiosi, ma poi, nei fatti, non è fedele alla moglie, accompagnandosi con più donne.
Proprio nell’anno in cui fu proclamata la legge, Romolo Guerrieri mette in piedi un film dal titolo esplicativo. Il protagonista de Il Divorzio è Vittorio Gassman che indossa i panni di un ingegnere insicuro e insoddisfatto del suo legame matrimoniale, per questo decide di divorziare dalla moglie. Questo lo porta a vivere numerose esperienze che non lo renderanno né felice e né soddisfatto, tanto che deciderà di tornare da sua moglie, che però nel frattempo si è rifatta una vita.
«È una grande vittoria della libertà, della ragione e del diritto, una vittoria dell’Italia che è cambiata e che vuole e può andare avanti».
Enrico Berlinguer, 1974
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