Da persona lucida, da comunicatrice, da amante della musica, del cinema, del teatro e dell’arte in generale, non posso che ammirare la scelta coraggiosa degli organizzatori de L’Ultimo Concerto.
«Vi aspettavate di vedere un concerto, invece vi siete trovati davanti a un muro di silenzio. Non vi abbiamo preso in giro. I vostri artisti non vi hanno voluto fare un brutto scherzo. Abbiamo voluto trasmettervi un messaggio. Farvi capire qual è la situazione in cui ci troviamo. Da un anno, siamo obbligati al silenzio e cerchiamo di galleggiare, di preservarci per un futuro che ogni giorno sembra allontanarsi.»
L’Ultimo Concerto
Capisco che qualcuno ci sia rimasto male perché vedere un concerto, seppur dietro uno schermo, poteva essere qualcosa di rigenerante, una boccata d’aria d’ossigeno, nel pieno della terza ondata covid-19, in cui molti comuni – tra cui il mio – si trovano in zona rossa, per l’ennesima volta. Ma la scelta comunicativa di manifestare un, giustissimo, malessere e un disagio che va avanti da un anno è davvero geniale.
Loro hanno radunato praticamente mezza Italia davanti uno schermo per un video di “soli” 5 minuti in cui venivano rivelati i sentimenti dei lavoratori del mondo della musica e dello spettacolo. Ci hanno presi e sorpresi all’unisono, ci hanno dato uno schiaffo virtuale, ci hanno mollato una “trollata” epocale: niente 130 concerti live in contemporanea in streaming.
Dai, parliamoci chiaro, chi l’avrebbe mai visto un video di 5 minuti fino in fondo se non ci fosse stato l’inganno? Chi avrebbe mai letto tutto il messaggio se non con la speranza di vedere il proprio cantante preferito uscire sul palco? Chi avrebbe mai atteso con trepidazione se non per cantare quella canzone così attesa da 365 giorni?
Perché, a volte, la musica deve fermarsi per ripartire. Perché non bisogna darla per scontata. Perché un artista è un privilegio, è un lavoratore che fa sacrifici, non un giullare “usa e getta” nel momento in cui bisogna cantare su un balcone o passare il tempo.
Quella de L’Ultimo Concerto è fare luce su un’emergenza gravissima. E’ una protesta. Ed una protesta deve creare un disservizio per essere efficace. E un disservizio è antipatico e fastidioso e snervante e importuno e molesto e seccante e rognoso e sgradevole. Ma in questo caso utile alla causa. Questa scelta di certo farà discutere per molto tempo, ma è stata necessaria.
Un messaggio crudo, arrivato forte e chiaro. Uno sfogo sacrosanto, un silenzio assordante. La cultura ha bisogno di certezza, ha bisogno di considerazione, ha bisogno di un futuro. Dobbiamo tornare a far respirare un settore che sta soffrendo.
Adesso, forse, molti capiscono quanto il silenzio faccia male! Complimenti agli organizzatori de L’Ultimo Concerto, una scelta comunicativa incisiva e senza precedenti!
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