In questi tempi siamo in balìa del revisionismo storico portato al parossismo e della retorica conformista del politicamente corretto. La damnatio memoriae è all’ordine del giorno, ma all’arte non puoi mettere bavagli, non puoi tarpare le ali seguendo criteri disperati ed edulcorando un passato che esiste e che non si può censurare.
Nessuno si salva dalla furia del politically correct e del falso revisionismo storico. Ha fatto scalpore la notizia della rimozione dal catalogo di HBO Max di Via col Vento in quanto rappresentante di stereotipi razziali. L’emittente è poi tornata sui suoi passi reinserendo il capolavoro di Victor Fleming nella lista, ma ciò è stato solo l’inizio di una folle e assurda campagna al politicamente corretto: dai nuovi criteri di selezione per i Premi Oscar, alla bizzarra scelta di far diventare Jodie Turner-Smith Anna Bolena, alla polemica femminista su Grease, fino a mettere il “bollino rosso” a Dumbo, Peter Pan e Aristogatti.
La condizione di disagio culturale che sta invadendo le società occidentali sta rendendo l’arte inerme, mascherando l’imbarazzo dietro al revisionismo storico e riducendola a balorde e stereotipate definizioni conformi alla nomenclatura di un sistema sempre più omogenizzato.
Ho da sempre considerato il revisionismo storico come uno degli elementi più importanti per la settima arte. L’interpretazione culturale in chiave modernista è interessante e stimolante, ma approcciarsi alla storia non è semplice, portarla sul grande schermo ancora meno. La storia non è fatta di sole verità e di dogmi, ma di paziente ricerca che, spesso e volentieri, porta alla riscrittura di pagine considerate certezza.
E’ legittimo prendere le distanze da idee e atteggiamenti lesivi alla dignità dell’uomo, ma la paura della “polizia del pensiero”, tuttavia, sta creando dei mostri culturali.
A mio nipote, ad esempio, non gli è consentito sognare con Peter Pan, piangere con Dumbo o essere uno degli Aristogatti. Di punto in bianco non sono più innocui cartoni, ma pericolose pellicole che offendono asiatici, afroamericani e nativi americani. E’ notizia di qualche tempo fa che addirittura l’Odissea di Omero dovrebbe essere cancellata – l’Odissea di Omero, ci rendiamo conto? – in quanto ritenuta opera “razzista” e non sufficientemente “inclusiva” per gli studenti.
Lo stesso discorso posso rivolgerlo verso il neo-femminismo che incentra le sue battaglie allo stravolgimento grammaticale di una lingua, come la nostra, all’uso matto e disperato di termini ridicoli come “avvocata”, “architetta”, “ministra” oppure di asterischi atti a cancellare le differenze di genere. Ecco sì, tutto ciò è inutile e dannoso alla causa, perché le differenze si eliminano con una base culturale ed educazionale.
Ma sul serio la convivenza tra culture diverse passa da queste sottigliezze? Sul serio alle donne basta una “a” alla fine di una parola per sentirsi comprese e rispettate? Perché ho la sensazione di mettere lo scotch su un tubo rotto.
Abbattere la statua di Colombo perché simbolo dell’America colonialista non è un atto rivoluzionario, ma oscurantista, così come tagliere un film. Tagliere una pellicola da un catalogo o cancellare il Columbus Day non è la soluzione. La contestualizzazione storica non è sottovalutare le aberrazioni del passato, ma osservarle e raccontarle onestamente. Che poi Colombo non era altro che un sognatore che credeva che dall’altra parte del mondo ci fosse vita, un po’ come gli astronauti che cercano l’acqua su Marte. E’ altra cosa che dopo il suo arrivo molte popolazioni siano state sterminate da criminali.
Non dobbiamo ragionare in caciara e abbattere il passato. Dobbiamo prenderlo di petto ed affrontarlo. La censura – e non il revisionismo storico – ci sprofonda nell’immobilità, in uno spazio congelato nel tempo che non è comfort zone. Un meccanismo che non ci permette di fare i conti con il nostro passato e con la nostra coscienza storica. Scardinare i classici della cultura occidentale mascherandoli per revisionismo storico genera una spirale discendente che, nell’intento di appiattire le differenze, le sottolinea oltremodo. Tutto ciò è sinonimo di intolleranza. Il rispetto per le etnie e per le culture non bisogna dimostrarlo pulendosi la coscienza da secoli di oggettivo eurocentrismo.
Quello di cui abbiamo bisogno è raccontare quello che è stato, insegnare nelle scuole tutte le religioni da un punto di vista storico e culturale, cooperare negli interventi di mediazione culturale tra operatori del paese d’origine e quello ospitante, di contestualizzare storicamente e culturalmente le opere. Non di polemiche sterili da bar o discussioni da salotto.
Dobbiamo ribellarci a questo conformismo linguistico che oggi tende a levigare ed appiattire le idee e le loro espressioni camuffandolo nel nome del rispetto dell’altrui sensibilità e di revisionismo storico.
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Finalmente qualcuno lo dice con lucidità e senso critico…
Non si riesce a capire che rispetto e politicamente corretto sono concetti diversi. Questa non è la lotta che noi progressisti dobbiamo portare avanti… perdiamo di credibilità, soprattutto nel cinema, arte che da sempre strizza l’occhio alla sinistra