Cyrano, recensione

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La storia immortale narrata da Cyrano di Joe Wright, uscito nel 2021 e distribuito in Italia nel 2022, è tratta dal dramma scritto da Edmond Rostand nel 1897, Cyrano de Bergerac, che racconta di uno dei triangoli più famosi della letteratura mondiale.

Quello tra Cyrano, abilissimo e coraggioso spadaccino francese, la bellissima cugina Roxanne e il cadetto Christian. Il primo, legato da grande amicizia alla ragazza ne è però perdutamente innamorato, senza avere il coraggio di dichiararlesi, inibito dal suo aspetto fisico. La seconda si innamorerà di Christian e delle meravigliose parole che le dedica, senza sapere che a scriverle è proprio Cyrano.

Joe Wright, il londinese che ha diretto alcune delle opere più notevoli del Cinema Britannico degli ultimi vent’anni, come Orgoglio e Pregiudizio (2005), Espiazione (2007), Anna Karenina (2012), L’Ora più buia (2018), porta sullo schermo una nuova ed emozionante versione del musical che a sua volta Erica Schmidt aveva tratto dall’opera dello scrittore transalpino e in scena già fra il 2018 e il 2019.

La versione di Wright differisce nettamente e positivamente da quelle precedenti; innanzitutto perché visivamente più moderna e adatta al pubblico di oggi, e poi soprattutto per la caratterizzazione stessa dei personaggi. Il problema fisico di Cyrano non è più il gigantesco naso, ma lo è la sua altezza (lo spadaccino è infatti affetto da nanismo), Roxanne non è più solo lo splendido oggetto del desiderio dell’opera originale e di tutte le trasposizioni cinematografiche successive, ma diventa una donna indipendente e volitiva. Per finire, Christian de Neuvillette diventa un ragazzo afroamericano.

La scelta di rappresentare Cyrano in maniera diversa non è da poco, tutt’altro. In questo modo si rimuove dal personaggio quel senso di grottesco che spesso abbiamo percepito nelle precedenti mise en scène. L’intuizione geniale di Wright e prima ancora della produzione del musical di Schmidt è quella di affidare il ruolo ad un attore che veramente è molto più basso della media (Peter Dinklage è affetto da acondroplasia) e che quindi, oltre all’indubbio talento attoriale, inevitabilmente porta sullo schermo molto del suo vissuto.

Capiamo quindi che il tema centrale del film è l’accettazione di sé stessi, oggi come ieri difficile soprattutto per le persone i cui corpi non corrispondono ai canoni estetici imposti dalla società, ma intensificato dai social.

A questo proposito e rispondendo ad una domanda sul body shaming (durante la presentazione del film al Festival del Cinema di Roma) Peter Dinklage ha detto: La questione non riguarda il modo in cui gli altri ci vedono, ma come vediamo noi stessi. Nessuno credo sia davvero a proprio agio nella propria pelle. Facciamo tutti quello che faceva Cyrano quando sui social cambiamo il nostro aspetto. Ma credo sia un personaggio universale in cui non si identifica solo chi è fisicamente diverso, ma chiunque sia insicuro circa la possibilità di essere amato.

Il cineasta britannico ha voluto per il suo film gli stessi protagonisti del musical portato a teatro, Dinklage appunto e Hayley Bennett. Una scelta intelligentissima, perché la loro alchimia è evidente ed emoziona lo spettatore. Ma tutti gli attori risultano notevoli: Peter che riesce a conferire profondità al personaggio sia nei momenti drammatici, sia in quelli più leggeri, Bennett che riesce a rendere Roxanne una donna moderna, coraggiosa e decisa, e Kelvin Harrison Jr.

Il giovane interprete di New Orleans è una piacevole sorpresa; aldilà dei facili commenti sulle origini afroamericane che ovviamente lo discostano dal personaggio originale di Rostand, c’è da dire che conferisce a Christian un nuovo spessore. Lui stesso è diverso da quelli che lo circondano, inoltre appare meno superficiale, più onesto e coraggioso rispetto ad altre interpretazioni. La presa di coscienza del fatto che Cyrano è innamorato di Roxanne e il suo sacrificio in battaglia sono commoventi e conferiscono alla pellicola un notevole pathos.

Dal punto di vista tecnico Cyrano è, senza esagerazione alcuna, un’opera magnifica.

Dall’ambientazione (una Sicilia che a partire dall’architettura barocca di Noto alle pendici innevate dell’Etna rende tutto magia), alla scenografia di Sarah Greenwood e Katie Spencer , alla fotografia di Seamus McGarvey, al montaggio di Valerio Bonelli, al trucco di Alessandro Bertolazzi e Sian Miller, alle coreografie di Sidi Larbi Cherkaoui.

Una nota di merito particolare va ai costumi e alle musiche.

I costumi: Jacqueline Durran (per quelli di Roxanne) e Massimo Cantini Parrini (per quelli di tutti gli altri personaggi) hanno fatto un lavoro semplicemente eccezionale (e infatti sono giustamente candidati agli Oscar); colori che si fondono con quelli della scenografia, tessuti che conferiscono leggerezza ai movimenti.

La musica: la colonna sonora dei National è un’altra protagonista del film. Dalle parti puramente strumentali (Ten Men Fight, solo per citarne una) a quelle cantate. Le lettere d’amore di Cyrano diventano delle meravigliose canzoni dove le parole si “fondono” con la musica. Ma forse le parti musicali più belle sono quelle corali; quella del balletto davanti al mare e quella dei soldati riparati nella grotta prima della battaglia (Whenever I fall) colpiscono ed emozionano davvero.

E per finire Joe Wright. Non che avessimo bisogno di un’ulteriore dimostrazione del suo talento, ma c’è da dire che qui davvero si supera. La sua direzione è eccezionale, la sua attenzione ai dettagli e il cogliere ogni piccola sfumatura, sia del paesaggio (l’infrangersi delle onde del mare e il loro meraviglioso suono), gli effetti della luce sul paesaggio, gli sguardi e le espressioni dei suoi attori, fanno di Cyrano un’opera bellissima, dove al tema senza tempo dell’amore (corrisposto o no), si affianca a quello e del rapporto con la società che ci circonda e alle varie forme di discriminazione.

” E’ al di sopra delle tue possibilità…”

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