The Space è il quarto album in studio degli ucraini Somali Yacht Club, in uscita il 22 Aprile 2022 per Seasons of Mist.
Prima che l’Ucraina, grande e glorioso stato est-europeo, divenisse tristemente noto ai più per via dell’invasione da parte della Russia di Putin, dal punto di vista artistico, esso stava iniziando a mostrare alcune peculiarità. Nella musica, l’insistenza o sul neofolk – come nel caso dei Go_A, noti per aver partecipato all’Eurofestival 2020 – o nel rock estremo. Nel secondo caso, la band forse più nota all’estero erano già i Somali Yacht Club: un monicker che è un ossimoro di per sé – la Somalia, stato poverissimo, indubbiamente non ha uno Yacht club.
Debitori in una certa misura ai mostri abissali dei The Ocean dal punto di vista sonoro, i Somali Yacht Club si sono inseriti in una scia stoner rock che sta riscontrando sempre più successo principalmente in Europa: si stanno riscoprendo, recentemente, le brughiere di montagna, i prati verdi e sconfinati, i boschi oscuri scrigni di segreti. E, chiaramente, le droghe psichedeliche scoperte esser prodotte da innocue erbette, in quei boschi. Pertanto, la componente psichedelica nei, finora, tre lavori dei Somali Yacht Club è onnipresente. A metà fra i Queens of the Stone Age e, dunque, i lavori nordici degli Spiritual Beggars, i Somali Yacht Club si pongono con l’orgoglio di una band navigata in un panorama attualmente fruttifero.
I Somali Yacht Club sono originari di Leopoli. Una città che sta riempiendo (al 3 aprile, 2022) la cronaca dell’orrore che sta avvenendo in Ucraina attualmente. Un album, il quarto, The Space, che è bellissimo, senza anticipare nulla. Una band, che nonostante il generale plauso della critica, ha quasi dimenticato la premiere, come hanno annunciato su Facebook.
Lasciamo dunque che sia la musica a parlare, e non il frastuono delle bombe. I brani di The Space sono stiracchiati, lenti, melodiosi e lamentosi come un lied: Silver ne è un perfetto esempio, in un’ordinata cacofonia di chitarre e batteria fortemente riverberata; un brano adatto sia all’ascolto live, birra alla mano, che come sottofondo per la fine del mondo. Comodamente seduti sul ciglio di un precipizio, guardando il mondo bruciare. Segue la suite Pulsar.
Sapete cos’è una pulsar? È un tipo di stella. una massa enorme di neutronio, un materiale composto da soli neutroni. Un oggetto così massivo che i protoni ed elettroni dei suoi atomi sono collassati in protoni. Una dinamo stellare: ruota vorticosamente su se stessa, generando un campo magnetico in grado di smagnetizzare una carta di credito da una distanza Terra-Luna, e pulsando nelle onde radio ritmicamente. Tum, tum, tum. Come una batteria stoner. E quasi fossimo in un album dei God is an Astronaut, Pulsar si sviluppa per addizione, si aggiungono frasi musicali al tema centrale – che tratta di desolazione, di abbandono, di amore parassitico. L’esplosione finale di chitarre distorte, ripetitiva, psichedelica, come l’eterno pulsare di una stella fino alla fine dell’universo e del tempo, chiude degnamente un brano eccellente.
Obscurum si muove su intelaiature math rock, e smuove alcune 10.000 Days-vibes. E, come il lavoro dei Tool, spiraleggia su dissonanze delicate ma non troppo ardue da cogliere – la linea vocale passa in secondo piano, quasi meno importante del basso, che gorgheggia, invece, profondo. Recupera invece il post rock di Pulsar la successiva suite, Echo of Direction: torbiere sterminate, campi di mais e girasole blandamente illuminati dalla luce della Luna; nessun punto di riferimento, per un viandante perduto. L’inteso dubbing della linea vocale fornisce un sentore quasi pagano al brano; una lenta cantilena, il richiamo di una locanda – o di una stazione spaziale? – lontana. I frequenti cambi di ritmo, verso soluzioni più dolci e melodiose, forniscono dinamismo al brano, contribuendo alla delineazione di un soundscape pittorico, notturno, stellato.
La breve Gold, elemento che si genera durante l’esplosione in supernova di una stella supermassiccia – che, chissà, diventerà una pulsar – è un brano a là Colour Haze che è un breve interludio per la suite conclusiva, Momentum. Che, per i non anglofoni, significa inerzia. Gloriosa e marziale, Momentum si trascina granitica per i suoi dodici minuti, e si discosta dai precedenti brani per la presenza di un lungo intermezzo jazz tastieristico, placido come un laghetto al tramonto, salvo poi esplodere nuovamente in un tripudio di batteria e chitarra.
The Space è un album estremamente godibile. Eccezionale nel mastering, avvenuto in Czechia, ma soprattutto nell’intelligente, melodico, atmosferico songwriting. Un album da parte di una band che, sebbene amata dalla critica, stenta ad uscire dalla nicchia e a raggiungere un successo di pubblico più ampio.
Ad ora, l’unica cosa che un amante della musica può fare per aiutare la band di Leopoli è supportarli in ogni modo. Ascoltando, comprando, ammirando i Somali Yacht Club dal vivo.
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