Envy of None, recensione dell’omonimo debutto

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Envy of None è il nome del nuovo progetto di Alex Lifeson, più noto come chitarrista dei Rush, in uscita l’8 aprile per Kscope.

Il talento di alcuni musicisti è cristallino. E, come un cristallo purissimo, può riflettere la luce in molteplici frequenze, tutte diverse: è declinabile in molteplici generi, dunque. Perché, parlare di generi, dopo un po’, diviene capzioso e fine a se stesso.

Il caso di Alex Lifeson è esemplare, come quello di Maynard James Keenan, di Kate Bush, o di Nina Simone. Chitarrista storico dei Rush, non ha mai disdegnato cimentarsi in altre direzioni – cos’è il prog, se non esattamente questo? Il suo ultimissimo progetto, nuovo di zecca, ha un nome che è già programmatico di per sé: Envy of None, invidia per nessuno. Come già successo per il supergruppo dei Gizmodrome, incorporanti Stewart Copeland dei Police, gli Envy of None hanno con sé, nell’arduo compito di cimentarsi con l’electropop, un producer d’eccezione fra gli effettivi: Alfio Annibalini. Eppure, l’intero impianto ruota attorno alla “frontwoman” e cantante classe ‘96 Maiah Wynne, la cui voce carezzevole abbraccia l’ascoltatore. Bassista degli Envy of None è Andy Curren, fondatore dei Coney Hatch.

Perché, se dovessimo proprio, a forza, a costo di ridurne il volume, incasellare in un genere il progetto degli Envy of None, nel loro, primo, self-titled, album, esso ricadrebbe nel dream pop. O nello shoegaze. Qualcosa, nel mezzo, senza appartenere del tutto ad alcuno dei due, fra gli Spiritualized e Sufjan Stevens.

envy of none recensione cover

Envy of None, contrariamente ai molteplici precedenti progetti di Lifeson, non segue un vero e proprio storytelling nel suo svolgersi, ma risulta un omogeneo ensemble di ottime canzoni, a partire dalla opening track I’ve Never Said I love You, in cui i synth curatissimi – fortemente anni ’80 – forniscono un’eccellente base alla voce quasi garage rock di Maiah. Altrettanto protagonisti sono i suoni di Annibalini nella successiva Shadow, drammatico brano in accordi minori che sfocia nel goth rock. Lo stesso sentore decadente è peraltro presente in Enemy, che però si avvale di alcune intelligenti dissonanze fra base, drum machine, e linea vocale: spruzzate di Nine Inch Nails, e intelligentissimo lavoro di copertura da parte di Lifeson, alla chitarra. Infine, a coronare la triade di discreti gioielli synth c’è Kabul Blues: un vero e proprio blues orientaleggiante, bass driven, fragile nella voce di Maiah e chiusa dal tremolante riff di Lifeson.

Laddove però è Maiah, eterea e rarefatta, ad essere assoluta protagonista, si è nello sheogaze, come nell’atmosferica Look Inside, che assomiglia pericolosamente a All of Thoughts are of You degli Spiritualized. Eventi più movimentati, in Envy of None, risultano invece essere il single Liar, ritmato dello stesso tribal molle di Bjork, e Old Strings. Quest’ultima, fra i brani più belli dell’album, è introdotta da tubular bells e dalla voce di Maiah lavorata come un coro new-age: c’è fernweh, in Old Strings, c’è nostalgia per cose mai vissute – il romanticismo d’annata scorre come vino rosso in un calice limpidissimo. La chitarra di Lifeson introduce invece Spy House, chiara e rotonda, interrogativa ma logorroica, ballad prog, dalle raffinate soluzioni stilistiche jazz; altro brano guitar driven è Dogs Life, brano maggiormente indie rock dalle chitarre ruggenti sul finale. L’album è chiuso da un grande tributo a Neal Peart, il recentemente scomparso batterista dei Rush: Western Sunset, in pieno stile golden-age dei Rush.

Envy of None è, nel complesso, un lavoro apprezzabilissimo, godibile, ed intelligente. Necessita della stessa cultura musicale, da parte dell’ascoltatore, delle tante altre, splendide, pubblicazioni Kscope – una fra tante, ad esempio The Cost of Dreaming dei White Moth Black Butterfly – o di Fireworker dei Gazpacho. Lifeson è riuscito a riunire dei professionisti eccellenti, onde creare un lavoro organico e in grado di distorcere i canoni dei generi. La dolcezza, ed il tocco femminile, sono, però, regine negli Envy of None: il soundscape tutto si tinge dei colori dell’altra metà del cielo

Giulia Della Pelle
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